In Italia la ripresa si avrà già quest’anno, ma sarà solo ‘ripresina’ (0,6%). Sarà ripresa vera nel 2016, quando il Prodotto interno lordo crescerà dell’1,3%. Lo rivela la Commissione europea nelle previsioni economiche invernali, che corregge il tiro rispetto alle previsioni di novembre. L’esecutivo comunitario rivede in negativo il Pil nazionale per il 2014: a novembre era visto in contrazione dello 0,4%, e oggi la Commissione lo dà a -0,5%. Bruxelles conferma invece i dati per il 2015: Pil a +0,6% come già detto a novembre. Ci viene dato invece più credito per il 2016: Pil a +1,3% e non a +1,1% come previsto nei calcoli precedenti. Attenzione però, il calcolo è stato fatto a “politiche vigenti”, dunque considerando anche l’aumento di due punti dell’Iva previsto per il prossimo anno, che in realtà il governo vorrebbe evitare. Farlo costerebbe circa quattro miliardi, non proprio pochi soldi da trovare. Alla ripartenza economica non seguirà una ripartenza immediata occupazionale: il tasso di disoccupazione atteso alla fine del 2015 è del 12,8% – lo stesso del 2014 – mentre per il 2016 è del 12,6%. Ma per l’Italia buone notizie – o buone prospettive – arrivano sul fronte dei conti pubblici: il rapporto deficit/Pil resterà al di sotto della soglia del 3% quest’anno (2,6%) e avrà una forte riduzione nel 2016, attestandosi al 2%. Calerà anche il debito pubblico, ma non subito: il dato conoscerà il picco quest’anno (133% il valore in rapporto al Pil), per segnare una flessione nel 2016 (131,9%, ma a novembre lo stesso dato era del 132,7%).
Attenti, però: la ripresa dell’Italia rimane “fragile”, e dovuta alla “crescente” domanda esterna, rileva la Commissione Ue. Ad ogni le esportazioni tricolori si pensa “risponderanno in modo relativamente forte ai deprezzamenti della valuta” dell’Ue. Ma il quadro generale che Bruxelles traccia per l’Italia, in sintesi, è questo: inflazione negativa nel 2015 per effetto della caduta di prezzi del petrolio, elevata disoccupazione e domanda interna debole.
Nodi da sciogliere anche sul fronte delle ‘carte’: il 27 febbraio la Commissione dovrà dire se la nostra legge di stabilità è accettabile o no. I numeri lasciano intendere che siamo sulla strada giusta. Anche perchè si calcola che l’aggiustamento strutturale del deficit pesi per un quarto di punto di Pil, quello 0,25% richiesto dal patto di stabilità secondo i recenti chiarimenti circa la flessibilità e, soprattutto, in linea con quanto promesso dal governo Renzi (che addirittura ha promesso sforzi per lo 0,3%). Un passo avanti notevole, visto che a novembre, in occasione delle ultime previsioni economiche, ci veniva riconosciuto uno sforzo correttivo dello 0,1%. Però servono “precisazioni che ancora non abbiamo”, rileva il commissario agli Affari europei, Pierre Moscovici. Si vuole capire meglio che impatti avranno le riforme strutturali, i tempi di attuazione, come avverrano i tagli da 4 miliardi nella sanità locale. Missioni tecniche da qui a fine mese non sono previste, ma questo non esclude l’invio di esperti a Roma se dovesse rendersi necessario. “All’Italia serve in mix di prudenza di bilancio, che è essenziale, e di riforme ambiziose”, dice Moscovici. “Continuamo a incitare il governo ad agire in tal senso, e attendiamo precisazioni sul programma di rifrome economiche e impegno di bilancio per il 2015”. La previsione di oggi “rappresenta la base per decidere sull’Italia”. Una base migliore di altre.
Per la Francia si profila invece una nuova manovra o, quanto meno, una manovra correttiva a quella già presentanta a Bruxelles. “La nostra stima è che alla Francia servano misure per colmare lo scarto” tra lo sforzo di correzione strutturale richiesto e quello che si pensa potrà apportare, ha detto Moscovici. Le cifre, del resto, parlano chiaro. “La correzione strutturale per il 2015 è dello 0,3%, vicina allo 0,5”. Dunque “c’è uno scarto che esiste, e ci sono delle misure supplementari da fare”. Sembra difficile per François Hollande convincere l’esecutivo comunitario a non bocciare la finanziaria ed evitare, così, un altro duro colpo alla sua immagine politica.