Ci sono ex ministri, parlamentari, giudici, sindaci, poliziotti, membri dell’estabilishment a tutti i livelli. Ogni settimana piovono accuse, arresti, processi: in Romania è in corso quella che alcuni non esitano a definire come la Mani Pulite nazionale. Nel 2014 sono state centinaia le persone accusate o condannate per reati come riciclaggio di denaro, tangenti, clientelismo o abuso di potere. La politica non è affatto immune. Lo scorso anno oltre cento politici sono stati rinviati a giudizio: tra loro otto membri del Parlamento, sei presidenti di provincia e 21 sindaci. E nelle prime settimane del 2015 l’ondata di rigore giudiziario sembra avere subito un’ulteriore accelerazione, con il coinvolgimento di nomi che hanno fatto molto rumore.
È il caso dell’ex ministro dell’Intero, Cristian David, accusato di riciclaggio di denaro e corruzione per avere incassato una tangente di 500mila euro, o anche del giudice della Corte costituzionale, Toni Grebla, convocato dalla Direzione nazionale anticorruzione con l’accusa di avere fatto pesare il suo ruolo in cambio di “benefit” come una Bmw serie 5, un telefono e alcuni abiti per la moglie. Nelle ultime settimane è finita nel mirino anche la parlamentare del centrodestra Elena Udrea, ex ministro del turismo, accusata di riciclaggio e di avere nascosto al fisco una grossa somma di denaro, mentre sono diventate definitive le condanne di altri due ex ministri: quello dell’economia, Codrut Seres, (condannato a 4 anni e otto mesi) e quelle delle comunicazioni, Zsolt Nagy (condannato a quattro anni).
Quello che sta accadendo “è una cosa molto grossa per soldi, per numero di politici, per coinvolgimento di partiti diversi”, spiega Paul Ivan, analista romeno dello European Policy Center di Bruxelles: “È simile – dice – a quello che è successo agli inizi degli anni ’90 in Italia con Mani Pulite”. Secondo Ivan, si tratta di “un colpo molto forte per la politica romena e richiede un cambiamento radicale”: alcuni partiti, sottolinea, sono costretti a “cambi ai vertici perché i leader sono in carcere o sotto processo”. Ma è necessario anche un cambiamento “nella cultura politica e nel modo in cui i partiti politici sono finanziati visto che molti di questi soldi finivano nel finanziamento dei partiti”.
Nel portare ad una battaglia così radicale contro la corruzione anche l’Ue “ha giocato un ruolo chiave”, è convito l’analista dello European Policy Center. “Il cooperation and verification mechanism dell’Ue – sottolinea Ivan – è stato uno dei principali strumenti per tenere sotto controllo questo fenomeno”. L’accelerazione di queste ultime settimane, è convinto Ivan, è dovuto più che altro a “diversi casi arrivati a conclusione nello stesso periodo” ma “la Romania è membro dell’Ue dal 2007 e da allora ha sentito una pressione costante da parte dell’Ue su questo aspetto”, così, dopo 7 anni, “il sistema ha davvero iniziato a essere riformato e gli organismi per combattere la corruzione in Romania sono indipendenti e sempre più efficienti”.
Di sicuro non si può attribuire tutto il merito dell’ondata di tolleranza zero contro la corruzione al nuovo presidente di centro destra, Klaus Iohannis, eletto soltanto a novembre 2014, ma anche la sua attenzione al tema sembra avere contribuito. “È al governo da pochi mesi mentre il processo dura da anni – fa notare l’analista dell’Epc – ma ha dato un messaggio molto chiaro e sta sostenendo molto questa battaglia. La sua elezione è stata una buona notizia per quelli che lavorano contro la corruzione”. Soltanto pochi giorni fa, in occasione di un discorso pubblico Iohannis ha detto: “La corruzione è una minacca alla sicurezza nazionale e io voglio eliminare le minacce che si possono eliminare. Alla fine del mio mandato, quando mi preparerò a lasciare questo ufficio, voglio essere in grado di dire che in Romania ci sono uno o due casi isolati di corruzione ma la corruzione generalizzata è sparita”, ha promesso.
A dare man forte al processo anche un clima decisamente favorevole, con un “forte sostegno popolare” nei confronti degli organismi anti corruzione a cui si criticano anzi le “pene troppo leggere”, racconta Paul Ivan. La popolazione sembra riconoscere anche il ruolo svolto dall’Unione europea in questa lotta: un Eurobarometro pubblicato a novembre 2014 mostrava che secondo il 73% dei romeni l’Ue ha ricadute positive sul sistema giudiziario del Paese, mentre il 67% è convinto che abbia un’incidenza positiva specificamente sulla lotta alla corruzione.
L’ultimo report della Commissione europea sui progressi della Romania nella lotta contro la corruzione, diffuso pochi giorni fa, evidenzia “diverse aree in cui progressi costanti e durevoli sono stati realizzati” e sottolinea che “le misure prese dalle principali istituzioni giudiziarie e da quelle incaricate della lotta alla corruzione hanno permesso di mantenere uno slancio formidabile”. Questo, continua il report dell’esecutivo comunitario, “si è tradotta in un rafforzamento della fiducia dei romeni nel loro sistema giudiziario in generale e nel ministero pubblico specializzato nella lotta alla corruzione in particolare”. I progressi, secondo l’Ue, “devono comunque essere consolidati e garantiti ulteriormente” visto che persistono “incoerenze tra alcune decisioni giudiziarie”, cosa che “suscita preoccupazioni”. Serve, poi, da parte del governo, un approccio ancora “più sistematico”. La Romania “è sulla via giusta e deve mantenere la rotta”, sottolinea il vice-presidente della Commissione europea, Frans Timmermans perché “combattere la corruzione – ricorda – rimane la più grande sfida e priorità del Paese”.