“Mentre Mario Draghi stira al massimo lo statuto della Bce”, avviando l’acquisto di titoli di Stato, “non c’è però una politica economica e di bilancio coordinata nell’Ue, perché questo è un tabù. Bisogna abbatterlo”. Il sottosegretario Sandro Gozi ritiene che perché l’intervento della Banca centrale europea funzioni, il percorso di integrazione europea vada accelerato. Intervenendo in audizione davanti ai deputati delle commissioni Esteri e Politiche Ue, l’esponente del governo traccia il bilancio del semestre di presidenza italiano che si è chiuso, sottolinea quella che considera una “svolta” dall’austerità alla crescita, e indica il percorso lungo il quale, a suo avviso, l’Europa deve proseguire.
Intanto i risultati del semestre a guida italiana. “Non solo abbiamo ottenuto il Piano Juncker” per gli investimenti strategici e “la comunicazione della Commissione europea sulla flessibilità – elenca il sottosegretario – ma abbiamo ottenuto anche che si apra la discussione sulla governance dell’euro”, tema sul quale “già a giugno potrebbero arrivare importanti novità”. Tutti questi elementi, per Gozi, confermano che si è intrapresa la strada per “uscire dalla gabbia dell’austerity in cui Manuel Barroso e Olli Rehn avevano chiuso l’Europa”.
“Un altro tassello”, per l’esponente dell’esecutivo, è “la decisione della Bce sul quantitative easing”. Gozi non è pienamente soddisfatto della mossa adottata dall’istituto di Francoforte lo scorso 22 gennaio, che ha dato avvio all’acquisto di titoli di Stato. “Avrei preferito che la condivisione del rischio fosse del 100%”, confessa il sottosegretario, perché il desiderio è che si arrivi alla “mutualizzazione dei debiti pubblici”. Tuttavia, “la condivisione al 20%” gli va bene comunque, perché “rappresenta un passo in avanti” sulla strada dell’integrazione.
Una strada che ha come meta finale “l’unione di bilancio, l’unione economica e l’unione politica”. Obbiettivi per raggiungere i quali, però, bisognerà mettere mano alle regole. E il cammino appare ancora in salita, se si considera che la presidenza italiana di turno, dopo aver lanciato sul tavolo la proposta di rivedere i trattati, ha “dovuto prendere atto che 26 Paesi su 28 (solo Italia e Belgio erano in controtendenza) volevano discutere su come migliorare il funzionamento delle istituzioni europee, ma a trattati costanti”.
Dunque, di cambiare le regole comuni non se ne parla? Secondo Gozi è solo una questione di tempo, e neanche troppo lontana. Si dice convinto che rivedere i trattati sia “non solo auspicabile ma possibile in questa legislatura”, perché ci sono almeno due “occasioni per aprire il dibattito”. Una è offerta dal “Fiscal compact, che prevede nel 2017 una valutazione e una eventuale” adozione anche da parte degli Stati che ancora non lo hanno sottoscritto. L’altra è rappresentata “dal negoziato con il Regno unito” per ridiscutere i termini della sua partecipazione all’Ue.