Ripubblichiamo questo articolo che ieri Stefano Cingolani ha pubblicato sul suo blog.
Aleksis Tsipras ha vinto e il suo partito, Syriza, ha avviato le trattative per formare il governo con una formazione di centro destra, An.El, il partito dei Greci indipendenti. Un’alleanza eterodossa, all’insegna del no all’austerità. In Europa i governi si mostrano allarmati, a cominciare da quello tedesco, la Bundesbank ammonisce (“la Grecia rispetti gli impegni”), ma la prima reazione delle borse è stata cauta. Come mai? La ragione principale è che a Bruxelles sono avviate da tempo trattative per orchestrare un terzo salvataggio. Dunque, è presto per fasciarsi la testa. Vediamo come stanno le cose.
I debiti. Nel maggio 2010 i paesi dell’area euro (tra i quali l’Italia) hanno sborsato pro quota 53 miliardi per il primo programma di assistenza alla Grecia. Scadenza 2026 con un tasso di tre punti percentuali oltre l’euribor trimestrale, che oscillava tra 0,7% e 1%, nei primi tre anni. Nel 2011 lo spread viene tagliato, nel 2012 arriva il secondo salvataggio: gli interessi scendono a mezzo punto oltre l’euribor e la scadenza slitta al 2041. Ma non basta. Il debito greco (350 miliardi di euro pari al 176% del prodotto lordo) è per l’80% nelle mani dei paesi dell’Euro zona e della Bce. In quattro anni la Grecia ha ottenuto 227 miliardi di euro, il 10% è servito a colmare il deficit pubblico, il 20% per salvare le banche e ben il 70% per pagare gli interessi. E da qui parte il negoziato.
Pagare meno. Con i prestiti concessi, i partner europei finora hanno guadagnato. Tsipras su questo ha ragione. Per alleviare il peso, si pensa a uno scambio tra tassi variabili e tassi fissi che oggi sono vicini a zero, oppure di ottenere un credito dalla Bce per ricomprarsi i titoli depositati nelle banche centrali nazionali.
Pagare più tardi. Ma il sollievo maggiore verrebbe spostando in avanti le scadenze. Nel 2012 la maturità del debito è stata allungata di 15 anni, correggendo uno degli errori commessi nel primo salvataggio. Un rinvio di altri dieci anni consentirebbe alla Grecia di risparmiare il 4,5% del pil senza perdite né oneri per i creditori, secondo le stime di Bruegel, il pensatoio economico di Bruxelles.
La clausola Pil. Una delle idee più interessanti è legare i tassi d’interesse alla crescita del prodotto lordo nominale (cioè compresa l’inflazione). Se l’espansione monetaria della Bce (soprattutto comprando titoli di stato) e il miglioramento della congiuntura faranno aumentare il reddito nazionale, il rimborso del debito sarà più rapido. Un precedente anche per l’Italia.
Le privatizzazioni. A Bruxelles hanno rilanciato il progetto del super-consulente Roland Berger. La Banca europea per gli investimenti e la Banca per la ricostruzione e lo sviluppo, le due principali istituzioni finanziarie europee, con l’aiuto della Banca mondiale, potrebbero creare un fondo speciale nel quale far confluire le proprietà dello stato ellenico da privatizzare, alleggerendo così subito lo stock del debito. Proposta complessa e non immediata, ma potrebbe aprire la strada ad operazioni simili in Italia.
Grexit. Un terzo salvataggio non basterà se Syriza insiste con il programma lanciato a Salonicco. Elettricità gratuita, cure mediche, casa; la cancellazione dei debiti sotto una certa soglia; il salario minimo; la creazione di 300 mila posti di lavoro. Costa 12 miliardi di euro da recuperare in parte con una imposta progressiva sugli immobili (salvo la prima casa), la lotta all’evasione fiscale, il controllo sui movimenti dei capitali, la soppressione di privilegi fiscali. Uscite certe, entrate incerte.
Dalla sua indipendenza, nel 1830, ad oggi, la Grecia ha trascorso metà del tempo in default, ma questa volta l’effetto domino sarebbe micidiale. L’Eurolandia può fare a meno della repubblica ellenica? Forse. Certo è che l’Italia sarebbe sotto attacco. I nostri destini sono legati e la corda viene fornita dal mercato mondiale.
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Leggi l’articolo nel blog di Cingolani