Il piano per gli investimenti della Commissione Juncker avrà un impatto occupazione, ma piuttosto minimo. “E’ qualcosa, ma non è sufficiente”. Parole di Jyrki Katainen, commissario per la Crescita e gli investimenti, che riconosce uno dei punti deboli della strategia Juncker. Il dato sull’impatto occupazionale non è nuovo: fin dall’inizio il presidente della Commissione Ue aveva indicato in 1,3 milioni di nuovi posti di lavoro in tre anni la ricaduta in termini di lavoro del piano. Praticamente nulla o poco più, considerato che in tutta l’Unione europea ci sono 500 milioni di persone. Oggi, però, Katainen ammette che il piano per gli investimenti non aiuterà a fermare l’emorragia occupazione. Tra l’altro, ricorda lo stesso Katainen in audizione in commissione Affari economici del Parlamento europeo, si avranno 1,3 milioni di nuovi posti di lavoro secondo lo scenario più ottimistico. “Attraverso il piano si potranno generare 1,3 milioni di nuovi posti di lavoro, anche se nessuno può garantire questo risultato”. Insomma, poco lavoro e neppure certo. Questo perché “il piano da solo non è sufficiente, abbiamo bisogno di riforme strutturali”, dato che “sono gli Stati responsabili della loro competitività”. Spetta dunque agli Stati, a giudicare dalle parole di Katainen, creare occupazione al proprio interno. A meno che non mettano mano al portafogli. “La partecipazione dei Paesi membri sarebbe d’aiuto”, rimarca il commissario europeo, il cui messaggio implicito per le capitali suona più o meno così: partecipate al fondo Feis per gli investimenti, aumentate la quantità di risorse per gli investimenti, e otterrete anche un maggiore impatto occupazionale.
Il resto è storia nota. Ai deputati europei Katainen ripete che il piano non finanzierà tutti i progetti, ma solo quelli dove il rischio è elevato, così da sbloccare più fondi possibili, perché l’obiettivo resta quello di mettere in circolazione i soldi privati attualmente non investiti. I progetti da finanziare, inoltre, dovranno essere effettivamente realizzabili e rispondenti alle necessità dell’Europa. “Abbiamo bisogno di mercato unico, e quindi abbiamo bisogno di reti”, rimarca Katainen. Anche qui una indicazione implicita: evitare di concentrarsi su tante opere non prioritarie ma pensare alle infrastrutturali mancanti e davvero funzionali alla piena competitività europea.