In queste settimane sono state avanzate molte considerazioni sull’individuazione della figura che dovrà succedere a Giorgio Napolitano, in modo particolare sul piano dell’“accettabilità” politica, per i vari partiti, del candidato o della candidata. Qualcosa si è detto anche a proposito del ruolo del/della nuovo/a Presidente, chiamato/a a gestire la pesante eredità del predecessore, anche solo in termini di rafforzamento de facto delle sue funzioni. Poco, invece, ci si è soffermati sulla dimensione internazionale e specialmente europea del mandato presidenziale e, quindi, sulla conseguente necessità di una figura che abbia la necessaria autorevolezza, conoscenza, competenza e dimestichezza nelle relazioni. Quella dimestichezza che, nei passaggi più complicati della nostra storia recente, ha consentito al Presidente Napolitano di muoversi con facilità nel contesto europeo e soprattutto di rappresentare per i nostri partner a livello internazionale un sicuro e affidabile riferimento.
L’assenza di una prospettiva che inquadri la figura del Capo dello Stato in uno scenario più ampio di quello delimitato dai confini nazionali viene rispecchiata anche nelle modalità di elezione. Il o la Presidente della Repubblica viene eletto/a, oltre che da deputati e senatori, da tre rappresentanti per ciascuna regione italiana, segno dell’importanza delle istituzioni sub-nazionali anche nella scelta della massima carica dello Stato. Stessa importanza, a mio avviso, dovrebbe essere riconosciuta al Parlamento europeo, che si colloca all’altro estremo – quello sovranazionale – dell’assetto istituzionale multi-livello su cui è fondata oggi la nostra democrazia.
Una proposta è stata avanzata in questo senso nell’ambito della riforma costituzionale di cui si sta discutendo, che prevede il riconoscimento di almeno una rappresentanza di deputati eletti al Parlamento europeo nella platea dei grandi elettori (AC 2449, a prima firma on. Francesco Sanna, ripreso nell’emendamento 21.17 su un nuovo testo dell’art. 83 della Costituzione). Questo sulla base della constatazione che l’Europa e il Parlamento europeo, a maggior ragione dal Trattato di Lisbona in poi, non possono che essere considerati parte costituente del processo legislativo nazionale in un numero sempre crescente di settori. Non è azzardata, infatti, la stima che quantifica intorno al 70% la mole di normativa nazionale di derivazione europea. E’, quindi, fuori discussione che i rappresentanti al Parlamento europeo abbiano un peso accresciutosi negli anni, anche per l’impatto sul processo legislativo nazionale. Altrettanto naturale è che debba esistere un collegamento sempre più forte tra le istituzioni operanti ai diversi livelli. Questo collegamento potrebbe concretamente essere affermato nell’esercizio del voto per la massima carica dello Stato: con ciò, anche simbolicamente, si certificherebbe l’evoluzione nella distribuzione dei poteri e il nuovo imprescindibile ruolo delle istituzioni europee, specie di quella democraticamente eletta, nella vita del Paese.
La proposta non ha mancato di sollevare dubbi formalmente o sostanzialmente fondati. Non è mio interesse entrare nel merito della disquisizione giuridica, visto che comunque la riforma della Costituzione non sarà possibile prima dell’elezione del nuovo Capo dello Stato.
Voglio, invece, cogliere questo spunto per poter dare un contributo, se non nell’esercizio del voto, almeno nell’aggiunta di un ulteriore punto di vista al dibattito che si sta svolgendo in queste settimane. Con una premessa: non vorrei che queste mie considerazioni venissero svilite riducendole alla sola individuazione di quale sia la mia “preferenza” per uno o l’altro dei nomi che circolano e circoleranno nei prossimi giorni, perché ben più di un nome risponderebbe alle caratteristiche che tratteggio. Vorrei, invece, provare a spiegare perché sia così essenziale soffermarsi sulla centralità della dimensione europea anche in questo fondamentale passaggio istituzionale.
La fase di spaesamento a livello globale impone oggi a qualsiasi Paese di avere ogni singolo esponente della classe dirigente pubblica e privata in grado di muoversi sul piano europeo e internazionale. Per il nostro Paese c’è un’esigenza in più, che va oltre la sola necessità di superare le crisi. Noi più degli altri potremmo cogliere opportunità e massimizzare le nostre potenzialità se ci proiettassimo meglio in una dimensione più ampia di quella esclusivamente nazionale. Tutti i momenti più fiorenti della nostra storia sono stati segnati dalla capacità di intercettare i flussi globali e farne ricchezza culturale, del sapere, commerciale. Questo vale sia per la forza espansiva che per quella attrattiva del nostro Paese. Intendo con “forza espansiva” il valore del nostro sapere e saper fare, esemplificata, da un lato, dalla domanda di made in Italy in innumerevoli settori e, dall’altro, dal successo all’estero delle nostre intelligenze e abilità tecniche. Con “forza attrattiva”, viceversa, mi riferisco a quella prerogativa, invero opaca oggi più che mai, di intercettare persone, idee e investimenti, che in passato hanno creato quell’ambiente di confronto innovazione e scambio alla base del nostro immenso patrimonio culturale, imprenditoriale e artistico.
Aggiungo che, pur nelle traversie e negli alti e bassi della nostra credibilità ai tavoli internazionali, alcune personalità italiane hanno saputo guidare momenti di svolta cruciali della storia dell’Unione europea, che sempre di più farà parte della vita di tutti i giorni, inevitabilmente.
Abbiamo bisogno di un/a Presidente della Repubblica che sappia esprimere al meglio queste caratteristiche e questi valori.
Queste le considerazioni che dovrebbero prevalere nelle valutazioni dei grandi elettori. Questo il mio personale auspicio perché il nuovo o la nuova Presidente della Repubblica sappia incarnare con la stessa forza di Giorgio Napolitano, anche se inevitabilmente con modalità differenti, l’orgoglio dell’Italia e degli italiani in Europa e nel mondo.