In un mondo i cui la produzione di bassa qualità e di massa si sposta sempre più lontana dall’Europa non ha senso continuare a sostenere l’occupazione di troppa forza lavoro non qualificata. Anzi, se troppe risorse vanno in questo senso, si incentivano i giovani a non qualificarsi, si penalizzano quelli che hanno studiato di più e crolla la ricchezza del Paese, creando dunque un circolo vizioso in cui, in sostanza si brucia la classe dirigente che dovrebbe guidare il Paese verso la crescita. Dell’Italia in particolare.
Lo scrive la Commissione europea nel suo ponderoso rapporto su “Lavoro e sviluppo sociale 2014”, presentato oggi a Bruxelles. Un capito è dedicato all’Italia, e si spiega che ovviamente, con una disoccupazione giovanile al 40 per cento, qualcosa, e anche in fretta va fatto per tamponare il fenomeno, ma se nel contempo non si progetta anche il futuro, gli interventi provvisori per “dare lavoro” in un futuro piuttosto vicino impoveriranno il Paese e peggioreranno la situazione. Aiutale i lavoratori “poco qualificati” in misura eccessiva è dunque non strategico s sostiene a Bruxelles.
“Le politiche orientate al lavoro hanno un forte potenziale di creare occupazione – scrive la Commissione europea – ma queste politiche hanno un costo quando soddisfano una forte richiesta di occupazione a bassa qualificazione a spese dei gruppi più istruiti, cosa che potrebbe portare a minori investimenti e a una minore crescita nel lungo periodo”. In sostanza, se non si fa lavorare chi progetta una produzione, cosa produce poi il lavoratore poco qualificato?
“Quando i sostegni all’occupazione sono generali e non riferiti a specifiche categorie – continua lo studio – l’impatto è forte”, ma, è qui sta il problema “è relativamente più forte l’ dove i salari sono più bassi, come nel caso dei giovani”. Però concentrare gli aiuti sul costo del lavoro sui giovani, dicono a Bruxelles “cambierà la componente degli impiegati in favore dei meno qualificati”, e questo, si ripete, “potrebbe portare verso il basso gli investimenti, e dunque il Pil”.
Il governo italiano, suggerisce la Commissione, nelle sue politiche per favorire la ripresa dell’occupazione dovrebbe dunque “dividere in due parti” quello 0,1 per cento del Pil dedicato ad abbassare il costo del lavoro, con “una metà destinata a sostenere l’altra istruzione, il tutto finanziato dall’Iva”. Si ricorda qui che in Italia i laureati tra i 30 e i 34 anni sono sempre troppo pochi, scandalosamente meno della media Ue: solo il 22,4 per cento, contro il 38 per cento. Ancora ben al di sotto anche dell’obiettivo fissato al 2020 di avere un 26 per cento di laureati in quella fascia d’età.
Insomma, secondo Bruxelles: “l’occupazione complessiva si avvantaggia se si cambia il mix dell’istruzione se i giovani sono sostenuti a studiare” fino, almeno, alla laurea. E, ovviamente, il sostegno all’istruzione “è un forte incentivo” per decidersi a laurearsi, o comunque a non fermarsi alla scuola secondaria. “I paesi che offrono posti di lavoro di elevata qualità e un’efficace protezione sociale, oltre ad investire nel capitale umano, si sono dimostrati quelli maggiormente resilienti alla crisi economica”, sintetizza Bruxelles.