“Abbiamo tutti disperatamente bisogno di investimenti, tutti gli Stati membri”. A dirlo è il vice presidente della Commissione europea Jyrki Katainen, presentando il Piano Junker ai parlamentari italiani delle commissioni Bilancio, Attività produttive, Lavoro e Politiche Ue di Camera e Senato. Stessa finalità per la quale ha incontrato il ministro delle finanze Pier Carlo Padoan, dello Sviluppo economico Federica Guidi, della Giustizia Andrea Orlando, e il sottosegretario alle Politiche Ue Sandro Gozi. Domani sarà all’Università Bocconi di Milano.
Per il Finlandese è proprio la necessità per l’Europa di tornare a crescere che ha spinto l’esecutivo di Bruxelles a “dare priorità agli investimenti”, anche attraverso il piano varato dal presidente Jean Claude Juncker con l’istituzione del Feis (Fondo europeo per gli investimenti strategici). Un piano che “per l’Italia può creare occupazione e crescita”, a patto che il nostro Paese “realizzi le riforme”.
Infatti, avverte Katainen, il Piano Juncker “non risolverà tutti i problemi, ma è solo parte della strategia” per creare occupazione e crescita. Per raggiungere questo obbiettivo, prosegue il commissario, “molti dei rimedi sono nelle prerogative dei singoli Stati membri”. Perché “se il problema riguarda una eccessiva imposizione fiscale o la rigidità del mercato del lavoro – precisa – è il singolo Stato a dover intervenire, questo piano non può fare nulla”.
L’accento è, ancora una volta, sulle riforme strutturali che ogni paese è chiamato a realizzare. Su questo versante, Katainen apprezza il lavoro del governo italiano. “Le riforme che sta realizzando sono importanti”, dice, sottolineando che “quella della giustizia aumenterà la competitività”, mentre “il jobs act aiuterà l’occupazione” oltre a creare “condizioni più eque per i giovani”.
C’è poi un altro fronte sul quale ciascun Paese può intervenire: la spesa nazionale per gli investimenti. Per stimolarla, la commissione ha varato due giorni fa un documento che prevede una maggiore flessibilità nella valutazione dei conti pubblici da parte di Bruxelles. Il vicepresidente ha ricordato che, come previsto dal documento citato, i contributi nazionali al Feis sono esclusi dal Patto di stabilità. In virtù di ciò, in una conferenza stampa presso Spazio Europa, il commissario ha dichiarato di avere “la sensazione che molti Stati membri contribuiranno”. E alla domanda di Eunews, che ha chiesto se nel corso dell’incontro con il ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan – i due si sono visti dopo l’incontro con i parlamentari – abbia ricevuto notizie sull’ammontare del “contributo generoso” annunciato dal premier Matteo Renzi a Strasburgo, Katainen ha risposto che “Padoan non ha ancora stabilito” un importo.
In ogni caso, anche se l’auspicato (e in alcuni casi annunciato) contributo aggiuntivo degli Stati membri non dovesse arrivare, “il Fondo può contare comunque su 60 miliardi di euro”. La precisazione del vicepresidente non è buttata lì per caso. Katainen riconosce infatti che esiste il “timore di molti sul fatto che gli Stati non saranno in grado di contribuire”. Tuttavia, aggiunge, “la mia preoccupazione principale non è questa, ma quella di attrarre finanziamenti privati”.
A questo proposito, in mattinata alcuni dei parlamentari hanno rivolto delle obiezioni all’effetto moltiplicatore previsto dal Piano Juncker, che è di 1 a 15 (ogni euro di investimento pubblico dovrebbe attivarne 15 di investimenti privati) per far sì che i 21 miliardi di risorse reali diventino 315. Un “moltiplicatore che ha lasciato interdetti molti di noi”, ha sottolineato Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, durante l’audizione della mattina. “Non posso garantire che il moltiplicatore sarà di 1 a 15”, ha ammesso il finlandese, secondo il quale però non è detto che alla fine risulti inferiore. Al contrario, il vicepresidente paventa la possibilità che le stime della Commissione si rivelino addirittura troppo prudenti. Infatti, prosegue, “se guardiamo le serie storiche della Bei (Banca europea per gli investimenti), il nostro moltiplicatore risulta inferiore”, dal momento che, ad esempio, “gli investimenti della Bei in equity per le piccole e medie imprese generano investimenti con un moltiplicatore di 1 a 20”.
Il commissario ha affrontato anche la questione della ‘golden rule’, ovvero la distinzione tra spese per investimenti (che in molti, tra i quali il premier Matteo Renzi, chiedono di escludere dal Patto di stabilità) e spesa corrente. Durante il Collegio dei commissari che ha partorito il documento ‘Per incoraggiare le riforme strutturali e gli investimenti’, la cui discussione è stata “lunga e complessa”, ha ammesso Katainen, “abbiamo deciso di non prevedere la golden rule”. Questo perché è difficile “stabilire quali siano gli investimenti” da scomputare dal Patto di stabilità.
Niente regola d’oro, quindi, ma l’apertura sui contributi nazionali al Feis e al Cef, e sui cofinanziamenti per attingere ai Fondi strutturali europei è comunque il segnale che “c’è stato effettivamente un cambiamento in Europa”. Katainen sottolinea che “ora guardiamo al futuro, e questo vuol dire concentrarsi sugli investimenti”. Una conquista, soprattutto se si pensa che a dirlo è un commissario “consapevole di essere per molti il volto del rigore”.