In questi giorni mi è capitato fra le mani un vecchio saggio di Simone Weil, “L’Iliade, o il poema della forza”. In tempi diversi sarebbe stata solo un’edificante lettura, ma i fatti di Parigi portano crudamente alla ribalta la riflessione centrale di queste pagine. La pensatrice francese usa la vicenda del poema omerico per spiegare che la forza è sempre un abuso e che nessuno ne detiene il monopolio. Quando la si scatena non si riesce più a fermarla e anche chi crede di possederla finisce per subirla.
“La forza fa di chiunque le è sottomesso una cosa. Quando è esercitata fino in fondo fa dell’uomo una cosa nel senso più letterale, perché ne fa un cadavere. Ma la forza che uccide è una forma sommaria, grossolana della forza. Ben più varia nei suoi procedimenti, ben più sorprendente nei suoi effetti è l’altra forza, quella che non uccide; quella cioè che non uccide ancora. Sicuramente ucciderà, o forse ucciderà, oppure è soltanto sospesa sull’essere che a ogni momento può uccidere; in ogni caso muta l’uomo in pietra. Dal potere di trasformare un uomo in cosa facendolo morire deriva un altro potere, ben altrimenti prodigioso, quello di fare una cosa di un uomo che resta vivo. Egli è vivo, ha un’anima; tuttavia è una cosa. Strano essere una cosa che ha un’anima; strano stato per l’anima. Chi può dire quanto ad ogni istante, per adattarvisi, deve torcersi e ripiegarsi su se stessa? L’anima non è fatta per abitare una cosa; quando vi è costretta, non c’è nulla in lei che non soffra violenza. Un uomo disarmato e nudo sul quale si punti un’arma diventa cadavere prima di essere colpito.”
A leggere queste parole non si può fare a meno di pensare agli ostaggi sequestrati dai terroristi nel supermercato kosher di Parigi e a quello che devono avere provato le vittime della strage di Charlie Hebdo prima di essere uccisi. Questo deve essere stato il loro stato d’animo quando avevano le armi puntate addosso. La forza contro le vittime è andata fino in fondo. Ora sono divenute cose morte. Ma anche i superstiti non sono più del tutto vivi. Come dice Simone Weil. Portano addosso la morte che hanno visto.
Questo oggi è anche lo stato d’animo di tutta l’Europa civile e laica che si scopre alla mercé del fanatismo religioso pronto a uccidere in nome di Dio. Sempre Simone Weil scrive: “All’occorrenza si trova sempre un Dio a consigliare l’insensatezza”. E qui sta il grande problema dell’uomo moderno: la religione. La religione nel suo stesso nome porta il significato di tessitrice di legami ed è quindi un sentimento favorevole alla convivialità, nel senso del vivere insieme. La religione è l’espressione del bisogno di sacro che ogni uomo prova davanti al mistero della vita. Ma inesorabilmente il sacro, proprio perché non umano, appena finisce nelle mani dell’uomo ne assume i suoi limiti, diventa uno strumento di potere e quindi di violenza.
È sempre stato inutile sforzo dell’uomo far coincidere religione e politica, Stato e Chiesa. Un anelito giusto nel principio ma immane nel farsi. Gli uomini sono riusciti a vivere insieme, a rispettarsi, a coltivare le libertà e i diritti individuali solo quando hanno abbandonato la pretesa di seguire una presunta legge divina e si sono dati provvisorie, imperfette e cangianti leggi umane.
Il teologo Cattolico Sergio Quinzio nel suo saggio “Cristianesimo dell’inizio e della fine” spiega come, secondo lui, il messaggio di Cristo sia stato completamente stravolto dalla religione che oggi si dice cristiana e dalla Chiesa che lo professa. La Chiesa ha avuto la pretesa di realizzare in terra il Regno ma non è riuscita a suscitare altro che nuovi idoli. “La chiesa o le chiese hanno fatto con la parola di Gesù quello che il tempio di Gerusalemme aveva fatto con la parola di Mosé e dei profeti, l’hanno tramandata deturpandola fino al limite dell’irriconoscibile”, scrive Quinzio. Un’altra traccia che ci mette sulla stessa pista: le religioni non possono fondare la nostra esistenza di uomini. Devono restare un fatto personale, confinato alla nostra coscienza individuale, non possono farsi sistema e governo di uno Stato. Perché professano ognuna la loro verità, le religioni sono sempre divisive. Perché si basano su una fede, le religioni entrano sempre in conflitto con la ragione. E anche quando si riesce a liberare il sacro dall’infrastruttura dogmatica in cui gli uomini lo hanno ingabbiato, condurre una vita spirituale esige un’uscita dal mondo che solo i santi e i profeti sono riusciti a praticare.
Perché piace tanto Papa Francesco? Perché sta smantellando dalla religione cattolica quella parte del suo dogma che la rende divisiva, come la discriminazione degli omosessuali, l’indissolubilità del matrimonio, in fin dei conti la pretesa stessa di detenere la verità. Il Papa sta insomma facendo entrare la ragione nella religione. In altre parole, la sta demolendo. Paradossalmente questo piace a chi si dice cattolico perché con le riforme di papa Francesco non si sente più vincolato da regole impraticabili. In questo modo la religione non è più religione, è solo regola di vita. E piace a chi non è credente perché non sente più la Chiesa come una minaccia ma come un’istituzione che opera in questo mondo e non nel prossimo, per la concordia, l’uguaglianza, la giustizia, il rispetto: in una parola, lo stato di diritto. Che è frutto della ragione, non della religione.
In questi giorni sui giornali e nei media qualcuno si è avventurato a riflettere sul concetto di blasfemia, cercando giustificazioni per la suscettibilità delle religioni alla derisione. Non si può prendere in giro la religione, dunque. Ma cosa è prendere in giro? Come lo si definisce? Con i criteri di chi crede o di chi non crede? Ancora una volta dovrebbe essere la legge dello Stato, superiore a ogni altra, a dirimere la questione. Già solo accettare questo dibattito è una resa. Perché è un riconoscere legittimità a criteri di giudizio che sono al di fuori della ragione e quindi appartengono all’irrazionale, che si sottraggono alle nostre leggi per far prevalere leggi religiose. Eccola di nuovo la violenza! All’ateo è vietato ridere del Dio altrui perché questo è considerato un abuso, un insulto alla religione. Non si considera invece un abuso obbligare l’ateo a ossequiare l’intoccabilità di un Dio. Nessuna chiama bestemmia il vituperio della ragione. Perché per fortuna o per disdetta chi segue la bussola della ragione anche su questo è disposto al dialogo. Ci sono voluti secoli di guerre religiose per arrivare a separare i poteri di Chiesa e Stato in Europa. Possiamo oggi ritornare indietro e sottometterci nuovamente ai dictat delle religioni? Così facendo ci piegheremmo alla violenza. Come dice Simone Weil, diverremmo cose morte stranamente dotate di anima.