L’applauso più convinto Mattero Renzi lo ha avuto quando ha citato Giorno Napolitano, in un’aula quasi deserta del Parlamento europeo come accade quasi sempre, bisogna dire per onestà, quando non si tratta di votare. Per il resto il discorso di chiusura del semestre italiano alla guida dell’Unione non ha suscitato molte emozioni, tranne nel finale, quando la destra britannica dell’Ukip e la Lega hanno, isolati, urlato contro il premier in Aula.
“Non si guida un semestre pensando all’interesse del tuo Paese, ma pensando al futuro dell’Europa”, ha rivendicato Renzi, aggiungendo che “in questi sei mesi abbiamo fatto molto. E gli europei devono sapere che noi abbiamo dato più risorse di quante ne abbiamo prese. L’Italia ha contribuito a salvare Stati e istituti di credito di altri Paesi, senza prendere un centesimo per i propri istituti, che hanno dovuto mettere nuovi capitali dopo gli stress test, ma perché crediamo nell’Europa”. Ed anche ora, con il fondo per gli investimenti del Piano Juncker, “siamo pronti a essere generosi”, annuncia.
Renzi ha continuato a rivendicare i meriti dell’Italia spiegando che “se vuole stare nella competizione globale deve cambiare, in questi sei mesi abbiamo fatto molto. Noi italiani sappiamo che nostra sfida non è qui ma a casa nostra. Noi abbiamo dell’Europa l’idea di un luogo di speranza per le prossime generazioni. Abbiamo fatto le nostre riforme avendo esempi nella nostra storia di grandi europeisti”. E qui il premier è andato sul sicuro, citando il presidente della Repubblica, per molti anni stimato membro dell’Aula di Strasburgo: “Vorrei ricordarne uno – ha detto annunciando anche formalmente le dimissioni che arriveranno ad horas – : Giorgio Napolitano, che in queste ore lascerà l’incarico”.
Renzi è soddisfatto del “cambiamento profondo” che ha visto nelle politiche Ue, “ma ancora non nei fatti”. Lamenta poi un obiettivo non raggiunto dall’Italia durante il semestre, la normativa sul made in: è “incomprensibile”, si è lamentato che ci sia stata tanta “resistenza, da parte di alcuni Paesi”. Il presidente del Consiglio è poi tornato sul chiodo dove batte sempre, lamentando che “questo tipo di Europa ha dato l’impressione di essere troppo spesso un modello basato sull’economia, sui parametri, sui vincoli”. Ora c’è “il cambiamento che la Commissione Juncker sta portando avanti ma che andava immaginato negli ultimi sei anni, non negli ultimi sei mesi – sottolinea Renzi -. Dobbiamo essere guida di questo cambiamento. Lo saremo se faremo dell’Europa una superpotenza, non economica, ma contro la demagogia della paura che vorrebbe rinchiuderci in una fortezza”.
Il premier ha concluso tra gli applausi confermando che l’Italia continuerà a lavorare “per un’Europa che sia sempre più dei popoli e sempre meno della burocrazia”