Come si può rispondere alla strage di Parigi? All’incredibile obbrobrio dello strazio e dell’esecuzione di giornalisti satirici e poliziotti nel (preteso) nome di Allah? Quella che cerchiamo è la risposta difficile, quella che sta a monte del problema. Se non si capiscono le ragioni di un problema sociale è impossibile risolverlo, questo è pacifico. Tentiamo qui di andare oltre la ridicole proposte di chiusura delle moschee o dei confini per vincere il terrorismo, ridicole anche perché puramente razziste e senza alcuna possibile effettività sulla soluzione del problema.
Crediamo che la risposta sia in due parole: democratica fermezza, che vanno declinate in questo ordine, perché la seconda trae la sua forza dalla prima. A parte misure ovvie di sicurezza sul traffico di armi, di persone eccetera, la risposta europea a questi attacchi deve essere nel continuare come sempre e più di sempre a difendere ed esercitare quelli che abbiamo deciso essere i nostri diritti e i nostri valori. Libertà di movimento di pensiero e di parola per tutti dunque, anche per chi dice cose estreme, sempre se non viola i nostri valori e dunque sconfina nell’apologia della violenza o di regimi dittatoriali, ad esempio.
La fermezza contro il terrorismo è nel fare poi ogni sforzo, ovviamente, per prendere, possibilmente vivi, questi brutali assassini e metterli in carcere. Ma, sempre in base ai nostri valori, non “per sempre” ma per punirli sì, mentre si cerca di accompagnarli ad una accettazione di un vivere sociale diverso e tollerante, rispettoso delle libertà e delle posizioni degli altri. Di fronte a due criminali come quelli certo è difficile comprendere che anche nei loro confronti i valori e i diritti sono gli stessi che per tutti gli altri, ma è proprio in questo che possiamo valorizzare e promuovere i valori di base che condividiamo per la vita civile.
Eppoi bisogna fare lo sforzo grande di far scomparire queste periferie inaccettabili nei quali tanti di questi ragazzi crescono. Offrire loro servizi efficienti, scolarizzazione, lavoro. Evitare che si sentano (perché, di fatto lo sono, se son trattati così) cittadini di serie B. Non si tratta di “tolleranza” o di “integrazione” ma di vivere sociale, di imparare, tutti, a convivere. Poi ognuno si tiene la sua religione i suoi valori (legali) particolari, vivendo però insieme, studiando insieme, lavorando insieme.
All’estero poi l’occidente dovrebbe riuscire a dare di se un’immagine più credibile, non di un gruppo di paesi ottusamente predatorio o tollerante sfruttatore che applicano, insieme o disgiunti, politiche incomprensibili e che si contraddicono. Non si possono sostenere dittatori, come si è fatto e come si farà probabilmente ancora, e poi pretende di difendere valori e diritti che non si riconoscono ad altri popoli. Non si deve essere un modello, questa è un’idea, quando non ipocrita, oramai vecchia. Come ben scrive Tommaso Di Francesco su Il Manifesto: “il terrorismo di ritorno è il meno che ci possa accadere se non si sbroglia la matassa di questa schizofrenia occidentale”. Si deve essere coerenti, si deve essere un’aspirazione magari per alcuni, ma non bisogna avere l’atteggiamento di chi può insegnare qualcosa, anche perché dovremmo ancora dimostrare di aver in qualche modo fatto il bene di qualcuno fuori dall’Europa.