Oggi, anche per l’Unione europea, è ancora il momento dello sgomento, dei minuti di silenzio e delle bandiere a mezz’asta. Ma la Commissione europea sa bene che la strage al settimanale satirico francese Charlie Hebdo fa crescere le aspettative per una risposta concreta al terrorismo che arrivi anche a livello europeo. Non immediatamente però: “So per esperienza che non bisogna reagire presentando proposte all’indomani di certi avvenimenti perché si rischia di commettere errori, andando troppo oltre o non andandoci abbastanza”, spiega Juncker parlando da Riga, in occasione della cerimonia di avvio del semestre di presidenza lettone. Ma dopo le dovute riflessioni la reazione dell’esecutivo comunitario arriverà: “La Commissione – annuncia Juncker – ha previsto di presentare un nuovo programma di lotta al terrorismo nelle settimane a venire”. Un passo obbligato, visto che il piano attuale copriva il periodo 2010-2014. Ma con l’occasione, anticipa il capo dell’esecutivo Ue, “analizzeremo nuove piste”: in particolare si tratterà di “verificare la qualità della cooperazione tra gli Stati membri”, di “esaminare in dettaglio le possibilità che offre il sistema di Schengen per vedere su che punti può essere migliorato e reso più esigente” e di “rafforzare la cooperazione tra Europol e le diverse agenzie nazionali che si occupano di lotta al terrorismo”. Nuove proposte “per rafforzare il quadro della lotta al terrorismo” saranno presentate già “al consiglio Affari esteri di febbraio”.
Tra i temi aperti c’è anche quello del cosiddetto Pnr (passenger name record) e cioè l’obbligo di registrare i dati dei passeggeri in area Schengen. La proposta è in ballo ormai dal 2011 ma su una misura che, secondo alcuni, chiede un’eccessiva restrizione del diritto alla privacy ancora non si è riusciti a trovare un accordo. Anche su questo, assicura la presidenza di turno lettone, si lavorerà nel corso delle prossime settimane. “A dicembre, Schulz si è rivolto al Consiglio sollevando la questione dei dati personali dei passeggeri e ha chiesto alla presidenza e alla Commissione di aiutarli a trovare un accordo”, spiega la premier lettone, Laimdota Straujuma assicurando di essere pronta a lavorare sul tema: “La prossima settimana – dice – mi rivolgerò al Parlamento. Come ha detto Juncker la Commissione avanzerà proposte e in ogni formazione del cosiglio sarà sollevata la questione. Soprattutto a giugno la strategia di sicurezza sarà aggiornata e da qui ad allora si rivedrà anche la questione” del Pnr.
“Avremo discussioni approfondite nel Consiglio Affari esteri del 19 gennaio e discuteremo di questo tema anche con i nostri ministri degli Interni. Non c’è confine tra sicurezza interna e sicurezza, e quindi dobbiamo agire in modo coordinato”, commenta anche l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini, secondo cui “non è tempo di prendere decisioni adesso: l’importante ora è usare questo dolore per lavorare e riflettere sulla difesa”.
Insomma se “è vero che la lotta al terrorismo appartiene soprattutto alle competenze di ogni Stato membro, è evidente che delle interconnessioni di competenze devono essere messe in atto tra le diverse autrità nazionali per potere meglio lottare contro il terrorismo su un piano preventivo e proattivo”, sottolinea Juncker. Non occorre cominciare dall’inizio visto che diversi passi in questa direzione, anche in passato, sono già stati fatti. “Quello che l’Unione europea fa è soprattutto supportare gli Stati membri” che hanno la maggiore responsabilità nella lotta al terrorismo, spiega la portavoce di Juncker, Natasha Bertaud. In particolare, dice “abbiamo creato un ambiente legale che permette la cooperazione e lo scambio di informazione tra gli Stati membri in materia di sicurezza”. Ci sono poi “diversi strumenti per condividere le informazioni, come lo Schengen Information Sistem”, il più grande sistema di informazione per la sicurezza pubblica in Europa, che consente rapidi scambi di informazioni tra controlli nazionali di frontiera, autorità doganali e di polizia. Uno strumento, evidenzia la Commissione, di cui è proprio la Francia a fare il maggiore uso per condurre controlli sugli individui.
Per aiutare gli Stati a gestire la minaccia terrorismo c’è anche il Meccanismo europeo di protezione civile che, sottolinea la portavoce di Juncker, “può essere attivato su richiesta di uno Stato membro che abbia bisogno di assistenza da parte degli altri Stati membri contro qualsiasi tipo di attacco terroristico”. E ancora, a livello europeo, esistono “diversi network di esperti che raggruppano specialisti al fine di condividere informazioni”. Tra questi, ad esempio, Atlas, network che riunisce le forze speciali di polizia anti-terrorismo dei Paesi membri. La Commissione europea poi, ricorda Bertaud, “fornisce, attraverso l’Internal Security Fund, finanziamenti agli Stati membri per aiutarli a sviluppare nuovi strumenti per combattere il terrorismo. E nel 2011 è stato lanciato il Radicalisation Awarness Network: un gruppo di esperti, specialisti e ufficiali di polizia, che lavorano insieme contro la radicalizzazione dei cittadini in europa perché “servono non solo incontri politici di alto livello ma anche lavoro coi cittadini sul territorio”.
Nelle prossime settimane, il tema sarà al centro di ogni incontro a livello politico. L’Alto rappresentante, Federica Mogherini ha deciso di inserire il punto all’ordine del giorno del prossimo consiglio Affari esteri, in programma per il 19 gennaio. La presidenza lettone ha assicurato che la lotta al terrorismo figurerà nell’agenda del consiglio informale Affari interni del 28 gennaio, mentre il parlamento vuole organizzare un dibattito sul tema nel corso della plenaria di lunedì.