Il 2014 è stato l’anno della Germania. Non solo ha rafforzato la sua egemonia politica in Europa, ma vincendo il campionato del mondo di calcio in Brasile ha raggiunto l’Italia a quota 4 vittorie. Rispetto ai tedeschi, però, i tifosi italiani nati nel dopoguerra hanno avuto la soddisfazione di vincere sempre negli scontri diretti. Chi ha oggi più di cinquant’anni ricorda ancora bene la notte messicana del giugno 1970. Poi c’è stata la vittoria a Madrid nel 1982 e quella a Berlino nel 2006. Per motivi a noi sconosciuti, l’Italia va in finale ogni 12 anni. Quindi, se i numeri hanno un senso nascosto, l’Italia dovrebbe arrivare alla prossima finale nel 2018 a Mosca. Sarebbe bello se fosse un altro scontro diretto Italia-Germania. Chi vincerebbe potrebbe raggiungere il Brasile a quota 5 vittorie nel campionato del mondo.
Ma al di là del gioco del calcio, che rimane il gioco più bello del mondo, nonostante la scarsa chiarezza etica della Fifa e di chi la comanda, soprattutto lo svizzero Sepp Blatter – clamorose le dimissioni a dicembre dell’americano Michael Garcia, il giudice americano che era stato chiamato a presiedere le inchieste del comitato etico interno alla Fifa, dopo l’insabbiamento della sua inchiesta – e prima di un’ipotetica sfida calcistica nel 2018, il 2015 sarà uno degli anni decisivi sia per l’Italia che per la Germania su un tema che molti trovano meno appassionante: il futuro dell’Unione europea.
Secondo noi, nei prossimi mesi la cancelliera Angela Merkel metterà al centro del dibattito politico la riforma dei Trattati alla base dell’euro e la futura governance politica dell’Europa. L’aveva promesso in un celebre discorso che fece il 7 febbraio 2012, nel ventesimo anniversario di Maastricht, davanti a un gruppo di studenti al Neues Museum di Berlino, a pochi passi dalla casa dove abita. In quell’occasione – e non c’è nessun motivo per non credere alle sue parole – espresse, secondo noi con sincerità, quello che pensava sul futuro dell’Unione europea. Ribadì che quello di cui aveva bisogno il nostro continente era più Europa, non meno, e che il prossimo, decisivo tema che i politici europei avrebbero dovuto affrontare sarebbe stato quello dell’unione politica.
Noi crediamo che la Merkel fosse pienamente consapevole che questo tema avrebbe causato controversie furiose in tutti gli stati europei, non esclusa la Germania, e avrebbe potuto aprire crepe pericolose in paesi come l’Italia, se le cosa avessero preso una certa piega, poiché andando verso l’unione politica gli stati nazionali dovranno cedere poteri a un vero e proprio governo europeo, e il Parlamento europeo diventerà decisivo rispetto a quello nazionale. In Italia – al tempo era presidente del Consiglio il tecnico bocconiano Mario Monti – i media non dettero molta rilevanza a quel discorso, nonostante italiani attenti avrebbero potuto rilevare un’impronta nota in quel discorso, reminiscente delle idee di Altiero Spinelli, che nel 1985 era riuscito a farsi approvare dal Parlamento europeo una bozza di nuovo Trattato che, anche se italiano nell’essenza del pensiero, proponeva per tutta l’Europa la struttura parlamentare della Germania federale, dove gli interessi degli stati (rappresentati nel Bundesrat, in cui siedono gli esponenti dei Länder) e quelli dei cittadini (rappresentati nel Bundestag) sono equamente rappresentati. Non è un caso che il Bundestag in un primo momento avesse approvato il “Trattato Spinelli”, che poi, soprattutto a causa delle resistenze dei francesi e degli inglesi, venne depotenziato nel Trattato sul Single Market.
Per molti versi Angela Merkel è fortunata perché nel 2012 non poteva immaginare che in Italia sarebbe salito al potere un nuovo leader come Matteo Renzi, che potrebbe rappresentare il suo principale alleato (o interlocutore privilegiato) nella battaglia per l’unità politica europea. Che nel 2015 inizierà il dibattito sul futuro politico dell’Europa lo ha confermato il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, nell’intervista concessa il 2 gennaio al quotidiano economico e finanziario tedesco Handelsblatt. Draghi ha ribadito che il 2015 sarà definitivamente l’anno del quantitative easing anche per l’Europa; ha confutato le accuse del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, secondo cui l’acquisto di titoli sovrani violerebbe il suo mandato; e ha fatto capire che la decisione è ormai imminente e potrebbe essere presa già nella prossima riunione del 22 gennaio, tre giorni prima delle elezioni anticipate greche. Rimane solo da sciogliere il nodo del quando, del quantum e di quali titoli pubblici di quali paesi acquistare. “Attualmente lo staff dell’istituto sta studiando i preparativi tecnici per varare, se necessario, ulteriori misure straordinarie. Non è facile dire di quali somme stiamo parlando. In ogni caso, il rischio, se non agiamo, di non adempiere al mandato è oggi più alto che non sei mesi fa, quindi ci prepariamo a cambiare ampiezza, rapidità e modo di attuazione delle nuove misure, tenendoci pronti a un lungo periodo di bassa inflazione”.
Draghi ha poi aggiunto, probabilmente in sintonia con Angela Merkel, che il quantitative easing non basterà comunque a risolvere i problemi attuali dei paesi europei, che essi debbono essere governati meglio e che “l’unione politica dovrebbe essere il prossimo passo, anche se questo sarà un lungo cammino”.
Nulla di nuovo, si potrebbe concludere. Il 28 giugno del 2012, lo stesso giorno in cui 98 anni prima era stato ucciso a Sarajevo l’erede al trono degli Asburgo Franz Ferdinand, mentre in Europa impazzava il dibattito sulla fine prossima dell’euro, e tutti davano ormai per scontato il Grexit – l’oracolo economico Nouriel Roubini ripeteva un giorno sì e uno no che l’uscita della Grecia dall’euro doveva ormai essere data per assodata, era solo questione di settimane, a cui sarebbe presto seguita l’Italexit e poi lo Spanexit, e l’Economist paragonava l’economia globale a una nave che affondava, titolando in copertina “Please can we start the engines now, Mrs Merkel?” – e tutti noi eravamo incollati alla televisione per la semifinale dell’Europeo tra Germania e Italia, verso le 10 di sera iniziava a Bruxelles l’ennesimo incontro del Consiglio europeo. La Merkel aveva escluso a priori che si potesse parlare di eurobond per salvare l’euro. Eppure – non sappiamo con precisione per merito di chi – da quell’incontro uscì una sorpresa che lo farà ricordare come un incontro storico. Dal comunicato finale uscì fuori che il Consiglio europeo dava mandato al suo presidente, in partnership con il presidente della Commissione e il presidente della Bce, di iniziare a delineare una road map che indicasse chiaramente come arrivare a un’unione bancaria dapprima, poi a un’unione economica ed infine a un’unione politica.
Non è un caso che Mario Draghi, l’unico ancora a capo di una delle tre istituzioni, lo abbia ricordato a inizio 2015. Gli osservatori più acuti intuirono subito che, anche a causa delle elezioni europee che si sarebbero tenute a metà 2014 e a cui avrebbe fatto seguito poco dopo la costituzione di una nuova Commissione, il dibattito vero e proprio avrebbe potuto iniziare seriamente solo a partire dal 2015. Ora il momento è arrivato.