di Berlaymont
Sembra proprio una barzelletta: Juncker, che diceva di voler rilanciare gli investimenti, alla fine ha trovato solo cinque miliardi di soldi freschi, e vuole farci credere che siano 315! Come? Semplice: prendendo altri sedici miliardi di garanzie dal budget dell’Unione, e moltiplicando quella somma per 15 grazie alla magia di un modello economico. Questo moltiplicatore di 1 a 15 ha fatto ridere tutti, dal Financial Times al Sole 24. “Come al solito la Commissione ci prende in giro”, hanno commentato i più.
E se invece di vedere il piano di Juncker come l’ennesima occasione per ridere degli eurocrati provassimo a prenderlo sul serio? A cominciare dal moltiplicatore. Per chi non capisce come funziona la Bei, sembra un’esagerazione svergognata. Non lo è: nel 2013, la Bei ha avuto un aumento di capitale di dieci miliardi, e questi fondi hanno avuto un effetto moltiplicatore di 1 a 18. L’idea è semplice: con un euro di denaro pubblico in più, la Bei può emettere sui mercati titoli per circa tre euro. Ognuno di questi tre euro permette, secondo le stime, di raccogliere cinque euro di fondi privati per il finanziamento dei progetti: 3 x 5 = 15. Ovviamente permangono molte incertezze, ma questa stima è meno ottimistica di quello che sembra.
Eppure il piano rimane debole. 315 miliardi non basteranno: il gap degli investimenti è al centro della crescita debole nella zona euro, e in particolar modo in Italia. Tutte le principali banche prevedono che gli investimenti nel Belpaese continueranno a calare fino al 2016. In Italia ormai non si investe più neanche per sostituire i macchinari rotti. In questa situazione, un piano di investimenti pari allo 0.6-0.7% del Pil dell’Unione, spalmato su tre anni, non sarà sufficiente a far ripartire l’economia. Anche perché è difficile stimare l’effetto inerziale: una buona parte degli investimenti del piano Juncker andranno infatti a sostituire investimenti che sarebbero avvenuti anche senza la creazione del nuovo fondo. Non è detto, inoltre, che sarà possibile trovare progetti di qualità per 315 miliardi in cosi poco tempo: molto dipenderà dalla capacità amministrativa della Bei. È anche lecito dubitare della validità di un fondo di investimenti in cui i rischi vengono assunti dal pubblico ma gli eventuali benefici andranno tutti a beneficio degli investitori privati.
Sono molte le debolezze del piano Juncker, ma questo non dovrebbe impedirci di riconoscere l’abilità del presidente della Commissione. Politicamente, ha mandato un segnale di rottura molto chiaro con gli attuali equilibri interni all’Ue, indicando un cambio di marcia che è stato recepito forte e chiaro dagli stati membri e dagli attori del mondo economico. È anche riuscito a fare alle forze di centrosinistra una concessione fortemente osteggiata dal centrodestra, ottenendo che i fondi nazionali investiti nel piano non siano presi in conto per il calcolo dei parametri del Patto di stabilità; l’equivalente della golden rule richiesta dal Partito socialista europeo. È vero, il centrosinistra (rappresentato dentro la Commissione dal commissario agli Affari economici Pierre Moscovici) avrebbe voluto un investimento di denaro pubblico molto maggiore, magari per mezzo dei project bonds, ma il Ppe, e soprattutto i tedeschi al suo interno, non ne volevano sentir parlare.
In definitiva, il pregio principale del piano Juncker, forse, è quello di essere fattibile. Al suo meglio, la politica consiste nel rendere possibile ciò che è auspicabile; a volte però deve accontentarsi di rendere appetibile ciò che è possibile.