Da qualche tempo le autorità dell’Islanda sembrano volersi allontanare sempre più non solo da Bruxelles, ma anche dagli altri Paesi europei con i quali hanno legami economici. “Dopo aver bloccato il processo di adesione all’Ue, il governo di Reykjavik adesso crea ostacoli continui anche all’Area economica europea (della quale fanno parte Norvegia e Liechtenstein. La Svizzera decise di non aderire, ndr)”, dice un diplomatico a Bruxelles, il quale però non si sbilancia: “Non ne capiamo il perché”, si limita a commentare, fingendo ingenuità.
Le ragioni di insoddisfazione nel rapporto tra Islanda e il resto dei paesi europei sono note, e riguardano soprattutto la pesca. Dall’isola si lamentano che la Norvegia e l’Unione europea fanno la parte del leone nella divisione delle quote di pescabile quando, secondo Reykjavik anche porre delle quote, in quei mari, è inutile vista la larga disponibilità di pesci. In Islanda, continua però il diplomatico, il problema degli ostacoli è grave perché “nel loro sistema, anche un singolo deputato può bloccare un accordo internazionale”.
I diplomatici spesso lanciano un’esca, stimolano la curiosità, fanno in modo che non si possa dire “me l’ha detto lui”, ma ti mettono su una pista. Cercando, si scopre che tre settimane fa un alto esponente del Partito comunista cinese è stato in Islanda, ed è stato ricevuto dal presidente della Repubblica. Il massimo onore possibile. Il capo dello stato Olafur Ragnar Grimsson ha spiegato che la forte crescita economica di Pechino crea benefici non solo alla Cina stessa ma anche “ad altre Nazioni nel Mondo”, e che “la storia nostra dimostra come le grandi economie possono trarre vantaggio anche dalla collaborazione con le piccole”. L’accordo commerciale tra i due paesi sembra stia favorendo molto l’export di Reykjavik. Negli ultimi tempi in particolare vanno forte i salmoni degli allevamenti islandesi, che i sempre più benestanti palati orientali sembrano apprezzare molto. Forse è qui, nella crescita costante dell’economia cinese, la spiegazione del “mistero” dell’allontanamento da un’Europa che non riesce ad uscire dalla crisi?