Chi conosce bene il modello sulla teoria della crescita e della distribuzione del reddito del grande economista ungherese, amico di Keynes, Nicholas Kaldor, poi perfezionato dall’economista italiano Luigi Pasinetti, sarà rimasto sorpreso e stupito dal clamore e dal successo di uno dei più pesanti mattoni dell’anno e cioè Il capitale nel XXI secolo dell’economista francese Thomas Piketty.
Sulla qualità delle analisi statistiche e sulla loro attendibilità non vogliamo entrare, avendolo altri fatto ad abundantiam. Diciamo solo che siamo d’accordo con quelli che sostengono che analisi statistiche di questo tipo poco aggiungono alla nostra comprensione della storia e della realtà.
Per chi non avesse letto il libro e non ha voglia di farlo, facciamo un breve riassunto. Il libro non dice altro che due cose semplicissime: la prima è che siamo tornati allo stesso livello di disuguaglianza del diciannovesimo secolo; la seconda è che oggi ci troviamo in una situazione in cui il tasso di crescita dell’economia è inferiore al tasso di ritorno sul capitale (“g < r”, come direbbero gli economisti).
Per quanto riguarda il primo punto, non crediamo che gli economisti possano dire più di tanto. E di sicuro, storicamente, non l’hanno saputo dire meglio di Charles Dickens. In Italia è nota la palinodia al marchese Gino Capponi del poeta marchigiano Giacomo Leopardi, già tradotto in inglese nell’ottocento dal primo ministro del Regno Unito Gladstone e recentemente ritradotto da Jonathan Galassi, il mitico chief editor della casa editrice americana Farrar, Strauss and Giroux. Capponi era un noto economista fiorentino cattolico e liberale a cui Leopardi, che era suo amico, dedicò questa poesia, anche se poi Capponi non lo appoggiò all’unico premio – il premio della Crusca – a cui il poeta partecipò con le Operette Morali, che perse malamente. Poiché di recente eunews e oneuro hanno tenuto a Palazzo Capponi il convegno “How Can We Govern Europe?”, ci piace ricordare qui alcune considerazioni di Leopardi sugli economisti:
Errai, candido Gino; assai gran tempo,
E di gran lunga errai… Alfin per entro il fumo
De’ sigari onorato, al romorio
De’ crepitanti pasticcini, al grido
Militar, di gelati e di bevande
Ordinator, fra le percosse tazze
E i branditi cucchiai, viva rifulse
Agli occhi miei la giornaliera luce
Delle gazzette… Né vidi meno
Da Marrocco al Catai, dall’Orse al Nilo,
E da Boston a Goa, correr dell’alma
Felicità su l’orme a gara ansando
Regni, imperi e ducati; e già tenerla
O per le chiome fluttuanti, o certo
Per l’estremo del boa. Così, vedendo,
E meditando sovra i larghi fogli
Profondamente, del mio grave, antico
Errore, e di me stesso, ebbi vergogna.
Fortunati color che mentre io scrivo
Miagolanti in su le braccia accoglie
La levatrice! A cui veder s’aspetta
Quei sospirati dì, quando per lunghi
Studi fia noto, e imprenderà col latte
Dalla cura nutrice ogni fanciullo,
Quanto peso di sal, quanto di carni,
E quante moggia di farina inghiotta
Il patrio borgo in ciascun mese; e quanti
In ciascun anno partoriti e morti
Scriva il vecchio prior…
Per quanto riguarda il secondo punto dell’analisi dell’illustre economista francese, novello Marx, forse per gli italiani non c’era bisogno di tante pagine per capire che il tasso di crescita, negativo da anni, fosse inferiore al tasso di ritorno sul capitale.
Infine, un’ultima considerazione sulla ricetta di politica economica che Piketty trae dalla sua analisi. Affinché la democrazia ben funzioni e possa mantenere un livello di armonia sociale decente, è necessaria, sostiene lo studioso, una tassazione della ricchezza patrimoniale. È una tesi ben nota in Italia e sostenuta da molti, da ultimo dal banchiere Corrado Passera che ha ora l’ambizione di creare un suo partito politico. Per quanto riguarda la politica economica forse è meglio attenersi a quello che sostiene ormai da tempo Mario Draghi, allievo dell’economista keynesiano italiano Federico Caffè. Per uscire dalla crisi bisogna coniugare insieme tre politiche: una politica monetaria più espansiva di quanto non sia finora stata in Europa; una politica fiscale che non punti al pareggio di bilancio, soprattutto in Germania, affinché il paese possa trovare uno sbocco alla sua produzione anche al suo interno; e infine una politica vera di grandi riforme strutturali, soprattutto in paesi come l’Italia che ne hanno grande bisogno.