Insieme con il Ttip, ci sono altri trattati commerciali che l’Ue sta negoziando, ma dei quali si parla meno. Un esempio è il trattato sul commercio e gli investimenti con il Giappone. La Commissione europea stima che “se i due accordi con Stati uniti e Giappone venissero conclusi secondo i criteri che intendiamo noi, varrebbero un’aggiunta di circa due punti percentuali al Pil dell’Unione europea”. E’ Mauro Petriccione, che sta seguendo il dossier sull’accordo con Tokio nella sua veste di vice direttore generale alla direzione Commercio della Commissione, a dichiararlo a eunews in una intervista rilasciata in occasione della sua partecipazione a ‘How can we govern Europe’ a Firenze.
Eunews: Perché è utile un accordo commerciale con il Giappone?
Petriccione: Il Giappone è un paese che non cresce economicamente, ma resta le seconda o la terza economia mondiale, con una propensione al consumo molto superiore rispetto a paesi con un reddito pro capite simile. Consumano prodotti di qualità e di alta tecnologia, quindi è un mercato ideale per gli europei.
E. Quali sono i Paesi europei che hanno maggiore interesse a questo accordo?
P. Dipende. La Germania vende soprattutto automobili, macchinari, equipaggiamenti. L’Italia vende agroalimentare e macchinari. La Spagna soprattutto agroalimentare. Ma tutti i Paesi europei hanno un potenziale, perché il Giappone è un mercato molto interessante per i settori in cui gli europei sono ancora molto competitivi: alta tecnologia e qualità. Le nostre esportazioni verso il Giappone sono molto al di sotto delle loro potenzialità, come i nostri investimenti. Però sta iniziando a cambiare. Fino a qualche anno fa nessuno sperava di poter investire in Giappone, era troppo complicato. Adesso ci sono imprese europee che incominciano a farlo, bisogna che gli rendiamo la vita un po’ più facile.
E. Quanto può valere questo trattato di libero scambio?
P. È un grosso accordo, stiamo parlando di uno 0,8% del Pil europeo, sempre che il trattato si chiuda come lo intendiamo noi. È una stima iniziale del tipo di accordo che vorremmo, poi bisogna vedere che tipo di accordo riusciremo a fare. E questo non dipende solo da noi, ovviamente, ma anche dalla controparte.
E. L’elemento principale del Ttip riguarda l’abbattimento delle barriere non tariffare, perché a livello economico non ne esistono quasi più. Vale lo stesso per l’accordo con il Giappone?
P. Dipende dai settori. Nel settore industriale pesano soprattutto le barriere non tariffarie. In materia agricola, invece, il problema tariffario è ancora considerevole. Per prodotti alimentari, agroalimentari, vini, eccetera, le barriere tariffarie con il Giappone contano parecchio. Anche nel settore del cuoio e delle calzature gli ostacoli tradizionali, come tariffe e quote, sono ancora importanti. Quindi, anche eliminare solo le tariffe sarebbe molto importante.
E. E per il settore della produzione industriale, quali sono gli ostacoli non tariffari?
P. Prendiamo ad esempio le automobili. I giapponesi adottano norme internazionali, le stesse che adottiamo noi, quindi non hanno nessun problema a vendere sul mercato europeo. Ma per il loro mercato interno queste norme sono leggermente modificate, e noi abbiamo dei problemi ad adattarci, abbiamo dei costi addizionali. Quando il prodotto ha una attrattiva particolare, questi costi aggiuntivi non influiscono. Infatti, la Fiat non ha problemi a vendere la 500 e l’Alfa Romeo, ma il resto non lo vende. Il costo addizionale glielo impedisce. Poi ci sono altri esempi in materia di prodotti di elettronica e di telecomunicazione.
E. È pensiero diffuso che nell’Ue ci siano le maggiori tutele in ambito di sicurezza dei prodotti. Mi sta dicendo che il Giappone ha norme anche più restrittive?
P. Non direi che il Giappone ha norme più restrittive. Sono semplicemente diverse, costringono ad adattamenti e dunque a costi aggiuntivi. E molte di queste differenze non sono giustificate. Noi usiamo degli standard internazionali quando siano disponibili, quindi chiunque operi in base a quegli standard può vendere i suoi prodotti in tutta Europa. I giapponesi giocano sulle differenze. Stiamo riuscendo a convincerli che quel discorso non è più nel loro interesse, perché se lo fanno loro possono farlo tutti. Lo potranno fare i cinesi un domani. Quindi i giapponesi cominciano a capire che usare standard internazionali, senza aggiunte speciali, è anche a loro vantaggio. E questo, nell’immediato, ci darà un vantaggio sul mercato giapponese.
E. C’è anche in Giappone il problema dei prodotti ‘italian sounding’,quelli che evocano specialità italiane, attraverso nomi e colori, ma hanno una provenienza del tutto diversa? E’ un problema che chi esporta verso gli Stati uniti, ad esempio, avverte molto.
Il Giappone è forse il terreno ideale per fare un discorso di qualità e di identità culturale di un prodotto. Tuttavia, non hanno il concetto di indicazione geografica tipica. Stiamo cercando di spiegarglielo e farglielo accettare. I prodotti agroalimentari europei sono prodotti che il mercato giapponese assorbe. Quindi è importante riuscire a proteggerli dalle imitazioni, che però generalmente non sono prodotte in Giappone, sono importate da altri Paesi.
E. Come stanno procedendo i negoziati? Entro quanto tempo si potrebbe arrivare a chiudere l’accordo?
P. La trattativa potrebbe finire nel corso del prossimo anno. Forse poco dopo. Comunque stiamo parlando ti tempi ravvicinati.