Non manca chi si aspettava qualcosa di più, ma la stragrande maggioranza dei deputati europei sostiene il piano di investimenti di Jean-Claude Juncker. Poco importa se la dotazione reale è di “soltanto” 21 miliardi: al Parlamento europeo l’impegno sembra bastare, a partire dai socialisti che alla bontà del piano avevano condizionato fin dall’inizio il sostegno al nuovo esecutivo comunitario. “Molte cose di questo piano ci convincono”, dà il suo benestare il presidente del gruppo S&D, Gianni Pittella, citando in particolare “l’impegno a garantire investimenti rischiosi” e il fatto che “il contributo degli Stati sarà tenuto fuori dalle regole del patto di stabilità”, segnale della “flessibilità di cui abbiamo bisogno”. “L’aria è cambiata”, dice Pittella, rivendicando che la svolta verso la crescita è “il risultato della nostra battaglia”. Sulle risorse limitate solo un accenno: “Avremmo voluto più risorse, un capitale di base più importante – dice Pittella – ma i venti miliardi sono un buon punto di partenza”, quello che conta è “convincere gli Stati membri a contribuire”.
La partecipazione degli Stati membri è il punto chiave per il buon funzionamento della strategia anche secondo i liberali. “Come può non essere un obbligo per gli Stati membri partecipare a uno schema che rilanci gli investimenti in Europa?”, si chiede il leader dell’Alde, Guy Verhofstadt chiedendo alla presidenza italiana di farsi portatrice di questo programma. “Il sottosegretario Sandro Gozi metta all’ordine del giorno del Consiglio di dicembre la discussione della partecipazione degli Stati membri a questo schema di garanzie”, chiede Verhofstadt suggerendo anche che gli Stati membri “potrebbero attuare deroghe fiscali e non tassare le obbligazioni legate a questo fondo”. Per il leader dei liberali è normale che le risorse non siano molte: “Francamente non c’è margine per metterci soldi pubblici, per quanto ne so oggi abbiamo solo debiti pubblici, quindi creare uno schema di garanzie è la cosa giusta da fare”.
Pieno appoggio anche dalla famiglia politica di Juncker, con il leader dei popolari, Manfred Weber che sottolinea come il piano sia “un buon segnale” che segue l’idea chiave del Ppe secondo cui “mobilitare capitale privato è meglio che fare nuovi debiti”. Weber torna a ricordare che “per il Ppe rimane fondamentale la stabilità dei bilanci per essere poter dare credibilità” e che “i soldi da soli non bastano, c’è bisogno del coraggio necessario per fare le riforme strutturali”. Agli altri gruppi politici il leader dei popolari ha chiesto “cultura dell’ottimismo e spirito costruttivo” nel sostenere un piano “molto credibile”.
Ma non tutti accolgono l’invito alla creatività. Se i conservatori si limitano a chiedere “dettagli concreti su questo programma” come condizione per “poterlo forse sostenere”, critiche aperte vengono espresse dalla sinistra radicale: “Il pacchetto è una scatola vuota, è una goccia nell’oceano”, attacca Dimitrios Papadimoulis della Gue, secondo cui “non esiste un economista al mondo che creda ci possa essere un effetto di leva 1 a 15”. Stesso punto su cui sono critici anche i Verdi per cui “è difficile pensare che 21 miliardi di euro, già impegnati, siano in grado di mobilitare 315 miliardi”, si tratta insomma di “una leva poco credibile”. Per Efdd, anche “300 miliardi non cambieranno le cose”, mentre Gerolf Annemans dei Non Iscritti, si rivolge a Juncker senza mezzi termini: “Non credo di esagerare definendo il suo pacchetto una farsa, è uno spettacolo di riciclaggio vergognoso”.