Domani, martedì, Papa Francesco renderà omaggio all’Ue con la sua visita in Parlamento europeo. Si tratta della seconda visita ufficiale di un capo di stato Vaticano in tutta la storia dell’Ue. Solo Giovanni Paolo II – con il suo discorso in Aula dell’11 ottobre 1988 – ruppe una tradizione fatta di “silenzi”, contribuendo a scrivere una nuova pagina nella storia ecclesiastica e comunitaria. Le relazioni Città del Vaticano e Unione europea erano state fino a quel momento soprattutto formali. Mutuo riconoscimento e poco più. Si dovettero attendere gli ultimi anni della Comunità economica europea, la Cee, perché l’Europa mettesse la Chiesa al centro della propria agenda. Finché è esistita la Cee, del resto, la natura politica europea era ben poca cosa e questo ha sicuramente inciso. Comunque nel 1958, in occasione della sessione plenaria del 21 ottobre, Robert Schuman si rivolse all’Aula per ricordare la figura di papa Pio XII, morto due settimane prima (9 ottobre). Fu forse quello il momento in cui per la prima volta un pontefice entrò in Parlamento e nelle istituzioni comunitarie.
Ma, come detto, per avere relazioni Ue-Santa sede più strutturate, si dovette attendere il 1970 quando il Vaticano decise di aprire una missione presso la Cee e istituire una nuova figura ‘ad hoc’, quella conosciuta oggi come nunzio apostolico presso l’Ue. Un passo compiuto dal governo papalino che capì che i tempi imponevano un adeguamento della politica estera. Dopo l’invio del nunzio apostolico nel 1970, nel 1976 venne creato dai vescovi il Sipeca, il Servizio di Informazione Pastorale Europea, e il 3 marzo 1980 vescovi e Santa Sede istituirono quindi la Commissione delle conferenze episcopali della Comunità Europea (Comece), vale a dire la rappresentanza presso le istituzioni europee delle Conferenze episcopali cattoliche.
Un vero e proprio dialogo tra Unione europea e la Città del Vaticano si instaura però solo agli inizi degli anni Novanta, subito dopo la caduta del comunismo, su iniziativa dell’allora presidente della Commissione, Jacques Delors.
Si registrò in quegli anni il cambio di passo politico, non solo della Cee – dal 1993 solo Comunità europea – ma dei due soggetti: il Trattato di Maastricht attribuì “valore giuridico” a questo dialogo, mentre grande valore simbolico ebbe la firma della Costituzione europea, il 29 ottobre 2004, per la cerimonia svolta sotto la statua in bronzo di papa Innocenzo X. Un’immagine forte per il significato di unione (il pontificato di Innocenzo X coincise con la fine della guerra dei trent’anni), e per i legami tra Unione europea e Santa sede, in un momento in cui si discuteva dell’assenza di riferimenti alla radici cristiane dell’Europa in quello stesso documento firmato a fine 2004.
Il rapporto sulla politica europea di vicinato del 2005 inserì lo Stato pontificio nella lista dei Paesi con cui intessere relazioni. Nel rapporto c’era scritto che “occore riconoscere un’attenzione particolare a quei paesi del continente europeo che non sono parte dell’Unione europea ma che, per ragioni storiche e geografiche, hanno legami con l’Ue (Andorra, Monaco, San Marino, Stato del Vaticano, Svizzera, Lichtenstein, Norvegia e Islanda), e permettere loro di partecipare al processo di politica di vicinato”. Con la visita di Papa Francesco si scriverà un’altra pagina di questa storia.