La cosa più importante è raggiungere l’obiettivo comune, e cioè quello di arrivare ad una drastica riduzione dell’uso delle buste di plastica in materiale leggero, quelle che più spesso vengono utilizzate una sola volta e poi gettate via, ma che restano ad inquinare nell’ambiente anche per centinaia di anni. Così anche la Commissione europea mette da parte le perplessità e fa sapere che sosterrà l’accordo raggiunto da Consiglio e Parlamento Ue, pur specificando di non ritenerlo affatto il migliore possibile.
Era novembre dello scorso anno quando l’esecutivo comunitario ha adottato una proposta di legge per ridurre l’uso delle buste di plastica leggere, pianificando di lasciare agli Stati membri la decisione sulle misure da adottare per raggiungere questo obiettivo. Misura troppo blanda per il Parlamento europeo che ha invece chiesto di inserire un target forzato di riduzione dell’uso delle buste di plastica ambizioso, dell’80% entro il 2019. Una posizione che ha trovato la resistenza dei Paesi e complicato i negoziati. Ma l’Italia, che come presidenza di turno sta conducendo i negoziati, è riuscita a trovare una sintesi tra le due posizioni. Le regole concordate tra eurodeputati e Paesi prevedono l’obbligo, per gli Stati membri, di scegliere se imporre una o entrambe tra queste opzioni vincolanti: l’obbligo di imporre un prezzo ai sacchetti usa e getta per la fine del 2018, oppure scegliere il target di riduzione, cioè un consumo di 90 sacchetti pro capite entro il 2019 e di 40 pro capite entro il 2025. Nel 2010, secondo la Commissione europea, ne sono stati consumati 198 a testa.
Il via libera da parte degli Stati arriverà ufficialmente dal Coreper (la riunione dei rappresentanti permanenti dei Paesi) in programma venerdì ma la negoziatrice per il Parlamento, la deputata dei Greens, Margarete Auken ha annunciato che “sarà approvato dai 28 Stati membri”. La Commissione non nasconde i dubbi sull’accordo trovato tanto che, negli ultimi giorni, si era anche parlato della possibilità che l’esecutivo decidesse di ritirare la proposta. Intenzione smentita direttamente dal braccio destro di Juncker, il vicepresidente Frans Timmermans: “Non ci opporremo all’accordo tra il Consiglio e Parlamento”, ha fatto sapere, sottolineando che “risulta l’unanimità in Consiglio e quindi la posizione della Commissione sarà irrilevante”, ma assicurando anche che “la Commissione non avrà nulla da eccepire anche se la decisione sarà presa a maggioranza qualificata”.
Dunque la Commissione non vuole ostacolare la strada verso “un obiettivo che tutti condividiamo” ma nel merito delle modalità per farlo ha non pochi dubbi. Soprattutto, specifica Timmermans, perché “Consiglio e Parlamento hanno deciso di limitare la flessibilità” per gli Stati membri e questo significa che “una volta trasposta la direttiva potrebbe incagliarsi”. E cioè, limitare le possibilità di azione degli Stati significa, secondo il vicepresidente, che “dovremo aspettare un bel po’ prima della trasposizione della direttiva europea in legge nazionale”, ma soprattutto che “sarà piuttosto complicato” vederla attuata. L’esecutivo comunitario ricorda che “quando c’è un accordo su una direttiva i Paesi membri devono attuarla o ci saranno procedure di infrazione” ma “se la Commissione vede problemi deve dirlo”. Per questo Timmermans garantendo l’appoggio chiarisce: “Se tra due, tre cinque anni ci saranno problemi non venite a dire alla Commissione che abbiamo fatto un pessimo lavoro”.