“Non possiamo pensare un’economia più efficace e più vicina ai cittadini senza la parola responsabilità”, e “non può essere lo Stato l’unico interprete dei bisogni pubblici”. Il sintesi è questa, secondo il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti, la ragione per la quale Bruxelles “deve favorire l’ingresso di nuovi soggetti che intervengono nel rapporto tra i bisogni dei cittadini e le risposte delle istituzioni”. In altre parole, per il ministro l’Europa deve “assumere l’economia sociale come un settore importante”, al quale prestare attenzione e dedicare risorse per dispiegarne il potenziale. Poletti ne ha parlato chiudendo i lavori della conferenza dal tema ‘Sbloccare le potenzialità dell’economia sociale per la crescita dell’Ue’.
Secondo quanto emerso dalla conferenza, infatti, il settore dell’economia sociale – fatto da cooperative, mutue, fondazioni, associazioni no profit e imprese sociali – ha le caratteristiche per contribuire a contrastare la crisi economica che sta attanagliando l’Europa. In primo luogo perché si occupa di esigenze e domande della società, alle quali gli Stati, in un momento di recessione e austerità dei conti pubblici, fanno fatica a dare risposta. Si pensi all’housing sociale, alle associazioni che offrono assistenza ai soggetti non autosufficienti, e altri simili esempi di organizzazioni che spesso si sostituiscono alle istituzioni pubbliche con una sorta di welfare parallelo. Poi, ulteriore elemento di contrasto alla crisi, l’economia sociale crea occupazione: 16 milioni di lavoratori in Europa, secondo quanto riportato dal sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba.
La conferenza ha prodotto un documento, la ‘strategia di Roma’, che Poletti si è fatto carico di “portare alle istituzioni europee a nome della presidenza italiana del Consiglio dell’Ue”. Il testo contiene alcune proposte rivolte alla Commissione europea, invitata a garantire per il settore dell’economia sociale “un chiaro punto di riferimento politico tra i commissari”, a dedicargli “una struttura con risorse adeguate” e a definire “un piano d’azione” per questa area tematica, riservando al settore anche una parte dei 300 miliardi di investimenti annunciati dal presidente Jean Claude Junker. Un piano che, si legge nel documento “non dovrebbe essere focalizzato solo sulle infrastrutture, ma anche agli investimenti sociali nelle stesse proporzioni adottate per i fondi strutturali”, e cioè il 25%. Al Parlamento europeo è rivolto un appello a “ricostituire l’intergruppo per l’economia sociale”. Al Consiglio europeo, infine, si chiede di “organizzare incontri regolari tra i ministri che si occupano di economia sociale” e “creare dei gruppi di esperti ad alto livello nei contesti nazionali”.
Un punto cui il documento dedica particolare attenzione è quello delle risorse per l’economia sociale. Poletti ha sottolineato come “ormai sia possibile, pur restando nel mercato, sostenere una finanza che si rivolga agli operatori dell’economia sociale”. Una convinzione che però fatica a fare breccia nelle politiche creditizie adottate dai tradizionali istituti bancari. Tant’è che nel testo messo a punto dalla conferenza si chiede la “creazione di fondi di garanzia dedicati” al settore, la “creazione di fondi mutualistici”, e la “creazione e rafforzamento di istituzioni e strumenti finanziari” pensati apposta per l’economia sociale.