In un momento in cui “il referendum della Scozia ci ha fatto tremare” e il “referendum, seppure illegittimo, della Catalogna ha segnalato una netta maggioranza a favore dell’autonomia”, possiamo essere “sicuri che il tema di come riorganizzare le autonomie locali appartenga al passato”? La domanda è stata posta dal presidente della commissione Politiche Ue di Palazzo Madama, Vannino Chiti, intervenuto alla presentazione nel locali del Senato del libro ‘La strada si fa camminando – Guardando a un’Europa delle democrazie locali’, un’antologia di scritti scelti tra gli articoli di Gianfranco Martini, un europeista convinto che la dimensione locale sia imprescindibile per la piena attuazione del processo di integrazione europea. “Tema di straordinaria attualità”, secondo Chiti.
Martini dedicò una intera vita all’Europa – “non dico che in famiglia mangiavamo pane e Europa, ma quasi”, ricorda il figlio Alfredo, curatore del volume – fu il padre putativo dell’Aiccre, la sezione italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa, una associazione che accomuna gli enti locali europei nella convinzione che, per creare una Unione forte, sia necessario un approccio federalista, nel quale la partecipazione dei cittadini trovi spazio, attraverso le autonomie locali, per confluire in una democrazia sovranazionale.
La stessa convinzione che ha appassionato Martini alla costruzione dell’integrazione europea, e che traspare dai suoi articoli. “Mediante il federalismo si vuole perseguire un assetto del potere che sia in grado di spostare il baricentro verso i cittadini”, scriveva, precisando subito dopo che “vi sono criteri e strutture che si ispirano e a loro volta favoriscono questo processo: la sussidiarietà e l’autonomia, che però vanno costantemente raccordate alle esigenze di solidarietà e di interdipendenza”.
Nell’idea di Martini, il percorso federale europeo “implica l’aumento della dimensione dell’autonomia e dell’autogoverno dei corpi sociali intermedi”, i quali sono posti “in condizione di essere protagonisti attivi di nuove e più incisive politiche”. Un aspetto, richiamato dal vice presidente del Parlamento europeo David Sassoli, il quale, intervenendo al dibattito, ha sottolineato il “nuovo protagonismo” dei partiti europei. “Per la prima volta abbiamo una Commissione europea non solo espressione dei governi, ma nata con un processo di formazione che ha dato centralità ai partiti politici”. Certo, ha riconosciuto Sassoli, “non possiamo dire di avere uno spazio di democrazia piena”, tuttavia, ha aggiunto, “dei passi avanti li stiamo facendo.
Partendo dal federalismo e dalle autonomie locali, Martini aveva però ben chiaro un punto di
arrivo: la realizzazione di un soggetto sovranazionale con una unità politica forte. Lo si capisce, ad esempio, negli articoli dedicati all’ultima guerra combattuta ai confini orientali d’Europa, il conflitto che ha insanguinato i Balcani negli anni 90. Da quegli scritti emerge non solo la convinzione che la pace sia uno degli elementi costitutivi dell’Unione europea, ma anche il profondo disagio perché quella stessa Europa che ha saputo sorgere dalle macerie della seconda guerra mondiale, ha attuato nell’ex Jugoslavia “la politica dello struzzo”, figlia di una visione “legata agli interessi di questo o quello Stato”, mentre la situazione andava affrontata “con visione unitaria” e “collocata in una prospettiva di lungo periodo”. Parole che potrebbero tornare utili oggi, alla luce di ciò che accade, ancora una volta, ai confini orientali dell’Europa, che nel frattempo, grazie al processo di integrazione, si sono spostati un po’ più in là.