L’Ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci è stato per cinque anni il rappresentante italiano presso l’Unione europea ed ha coronato (per ora?) la sua carriera di civil servant come commissario europeo all’Industria nell’ultimo scorcio della Commissione Barroso. Attualmente è il presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). E’ insomma uno che quando parla di Unione europea sa quel che dice, e lo dirà nella prima tavola rotonda dell’incontro fiorentino “How can we govern Europe ” sabato 22 novembre.
Gli abbiamo fatto qualche domanda per riscaldare il dibattito prima dell’appuntamento e abbiamo scoperto che dalla questione Britannica secondo Nelli Feroci l’Unione potrebbe, tutto sommato, uscire istituzionalmente più forte…
EUNEWS Stiamo vivendo anni davvero difficili per l’Unione. Siamo stati travolti da una crisi economica disastrosa che ha messo a dura prova le fragili istituzioni comuni ed ha portato ai minimi la fiducia dei cittadini nella capacità dell’Ue di dare risposte ai loro problemi. Si è tornati dunque a ragionare su come salvare il progetto, cercando un nuovo impulso. Il dibattito si sta focalizzando su due posizioni sostanziali, su due scuole: quella che dice rafforziamo le istituzioni comuni, trasferiamo a Bruxelles poteri più pesanti di quelli che ha ora e chi dice, invece, che è necessario dare maggior spazio al livello governativo, degli Stati.
NELLI FEROCI Negli anni della legislatura appena terminata si è sviluppato un fenomeno che ha fortemente rafforzato i governi e indebolito le istituzioni comuni: il combinato disposto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, con il nuovo ruolo del Consiglio europeo diventata una istituzione a pieno titolo e con un presidente eletto, e il fatto che le misure che si sono dovute adottare per far fronte alla crisi erano di natura tale da richiedere inevitabilmente un intervento diretto dei governi; tanto è vero che alcune di queste misure si sono adottate con strumenti non di tipo comunitario.
Ora però credo ci siano le condizioni per un recupero di protagonismo delle istituzioni comuni perché spero che si entri in una fase meno emergenziale e un po’ più di ‘ordinaria amministrazione’. Le sfide sono enormi ma mi auguro che si possa lavorare secondo un metodo più ordinato, meno sotto la pressione di eventi catastrofici. In questo quadro credo che a noi convenga sostenere la scuola di pensiero che punta sul rafforzamento delle istituzioni comuni, in particolare della Commissione. Ma credo sia molto giusta la sollecitazione fatta da Herman van Rompuy di ricentrare il tema delle competenze su quelle questioni che, in nome del principio di sussidiarietà, si possono fare meglio in comune. Credo che questo sia utile e doveroso, tanto più che ci verrà chiesto inevitabilmente nei prossimi mesi, in maniera pressante, da alcuni Paesi membri e in particolare dal Regno Unito.
Vedo qui all’orizzonte una delle sfide più delicate per l’Unione: come fare fronte al problema britannico. Credo dunque un uso più saggio del principio di sussidiarietà si imponga senz’altro. E mi sembra sia l’orientamento su cui si sta muovendo la Commissione Juncker con questo ruolo di ‘supervigilante’ della sussidiarietà affidato al vice presidente Timmermans.
E Lei è quindi convinto che l’Unione debba prepararsi a dare risposte concrete sulla questione Britannica…
NF Penso di si. Dipenderà da come David Cameron imposterà la campagna elettorale della prossima primavera e dall’esito del voto. Se dovessero vincere i conservatori inevitabilmente si porrà il problema di rinegoziare con il governo britannico le condizioni della partecipazione all’Ue. Personalmente ho una visione molto laica, credo che questo lo si dovrebbe accettare, che un minimo di chiarezza nel rapporto tra Regno unito e Unione si pone.
Si potrebbe anche però approfittare dell’occasione per fare altro, non solo consentire qualche opt out in più ai britannici, ma mettere sul piatto della bilancia di un negoziato un po’ più complesso, per esempio il rafforzamento della governance dell’eurozona. Credo sia un deal sul quale Londra dovrebbe acconsentire. Dunque da un lato concedere loro delle flessibilità delle quali sembrerebbero aver bisogno per stare nell’Unione, e credo che il Regno unito nell’Ue sia una presenza necessaria, dall’altro negoziare con loro alcune misure di rafforzamento della governance dell’euro.
E Dalle emergenze l’Unione non sembra riuscire ad uscire, e già prima della questione britannica andrà risolta la questione del piano di investimenti da trecento miliardi che, anche su proposta italiana, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha promesso entro Natale.
NF Il problema a monte è vedere come reperire queste risorse, e non è un problema da poco. Il bilancio dell’Unione è quel che è, è bloccato per i prossimi sette anni, bisognerà fare delle operazioni di ingegneria finanziaria per vedere come fare leva sul quel che già c’è nel bilancio per moltiplicare le risorse. Il primo quesito è vedere da dove escono fuori questi trecento miliardi, ancora non ho visto indicazioni chiare. Ci sono molte ricette, molte proposte, ma ancora non c’è un orientamento chiaro.
Poi come spenderli… non è un caso che si sia partiti da questo punto del vedere quali sono i progetti bancari, finanziari sui quali trovare un minimo di intesa e poi le risorse. E’ stata costituita una task force Bei-Commissione che ha il compito di trovare progetti che abbiano una valenza europea. In Italia ci sta lavorando la Cassa Depositi e Prestiti (e il presidente Franco Bassanini sarà anche lui ospite a Firenze, ndr), con il Tesoro (rappresentato alla tre giorni toscana dal vice ministro Enrico Morando e dalla sottosegretaria Paola De Micheli, ndr). Secondo me si lavora attorno al concetto che fu delle reti TEN, Trans European Network, grandi progetti infrastrutturali Transnazionali. Direi di puntare su questo, possibilmente grandi infrastrutture che accomunino almeno due, tre o quattro Paesi, che dunque abbiano una valenza europea.
E L’economista Daniel Gros, che sarà a Firenze domenica, sostiene che questi investimenti dovrebbero qualificarsi per sostenere la formazione, prima ancora che le grandi infrastrutture…
NF Ci sono alcuni paesi che hanno un disperato bisogno di investire in formazione e altri che sono perfettamente attrezzati sotto questo profilo. Mi riesce difficile immaginare un’intesa a ventotto su un obiettivo di questo tipo, perché son sicuro che alcuni Paesi direbbero che si sentono già adeguatamente strutturati.
Ho una particolare preoccupazione quando si parla di formazione perché se c’è un modo per spendere male i soldi, soprattutto in un Paese come il nostro, è la formazione. Parlo di quella professionale, Daniel Gros ha in mente una formazione di alto livello, le scuole di specializzazione post laurea. Noi abbiamo bisogno di progetti che siano verificabili, certificabili a livello europeo, e l’investimento in formazione ha difficoltà ad essere monitorato dal punto di vista della qualità.
E Passate le elezioni statunitensi dovrebbe poi riprendere vigore un negoziato che ha grande rilevanza economica, ma anche sul piano dei diritti dei cittadini, quello sul Trattato di liberalizzazione degli scambi commerciali e finanziari transatlantico TTIP. L’opinione pubblica europea si sta dividendo su questo.
NF Sono molto preoccupato per l’atmosfera che regna, anche nel Parlamento europeo, attorno a questa grande iniziativa di liberalizzazione degli scambi. Non vorrei che per questo tipo di preoccupazioni, che hanno un loro fondamento, ma che sono in qualche modo fronteggiabili ci si blocchi, ci si impantani, in un momento in cui altre aree del Mondo stanno procedendo, come si è visto al vertice Apec, a passi spediti verso iniziative di liberalizzazioni degli scambi e degli investimenti. C’è un potenziale straordinario collegato al TTIP che sarebbe drammatico non cogliere.
Mi rendo conto che alcune preoccupazioni sono fondate, soprattutto per tutto quel che riguarda la sfera della protezione del consumatore. Ci sono culture diverse, noi applichiamo il principio di precauzione, dunque di fronte a un’incertezza blocchiamo mentre negli Stati Uniti l’approccio è più basato sulle risultanze scientifiche. Ci sarà un grosso lavoro da fare per tranquillizzare questo tipo di timori, però bloccarsi per questi timori in larga misura secondo me irrazionali, un po’ emotivi, sarebbe una tragedia. E questo vale anche per la questione molto controversa della clausola di arbitraggio, che consente di deferire a corti arbitrali contenziosi legati ad investimenti. Anche lì, è una pratica che si è applicata a centinaia di accori e ora scopriamo che non ci fidiamo più delle Corti arbitrali. E’ curioso, ecco.
Da una parte chiediamo disperatamente più investimenti esteri, dall’altra però siamo pronti a mettere paletti… ma sappiamo bene come in alcuni tipi di paesi queste difficoltà legate al quadro giudiziario sono quelle che bloccano gli investimenti. Io complessivamente sono molto fortemente a favore del TTIP. E mi sembra di capire che ci sia una novità importante oltre Atlantico: con una maggioranza repubblicana al Congresso ci potrebbero forse essere le condizioni perché la trattativa si muova con un pochino più di speditezza. Fino ad ora gli americani hanno fatto melina su questo negoziato perché temevano le elezioni. Oggi con una maggioranza repubblicana e con un mood un pochino più favorevole al libero scambismo le condizioni possono cambiare. Sarebbe veramente un peccato se ci bloccassimo noi europei.
E Lei i leader europei li conosce uno per uno, ci ha lavorato per anni. Sarà dunque d’accordo se diciamo che nell’Unione c’è un grave problema proprio di leadership.
NF Il problema della leadership c’è, non c’è dubbio. Però è stato aggravato da un altro fattore che a volte si tende a disconoscere: la crisi economia e finanziaria ha colpito in maniera diversa i Paesi protagonisti di questo progetto comune. Vi sono alcuni paesi che hanno reagito bene, sostanzialmente, con perdite limitate, per lo meno per ora, e hanno mostrato quella che si chiama in gergo ‘resilience’. Altri invece no. Dunque c’è una percezione diversa delle cause della crisi, dei rimedi da adottare per far fronte alla crisi e per rilanciare crescita, occupazione e competitività. Questo ha indubbiamente indebolito il progetto politico perché non c’è solo un’assenza abbastanza evidente di leadership ma una concezione diversa dei fondamentali ha reso più difficile individuare una narrativa comune, è questo il problema.
In più aggiungo la tendenza purtroppo prevalente in alcuni paesi, non voglio far nomi, a scaricare sull’Europa responsabilità che sono nazionali. E questo purtroppo è un mal comune molto diffuso a cui non si sottrae nemmeno il nostro Paese, i nostri dirigenti.