La parità uomo-donna sul lavoro? Un qualcosa che non esiste in Europa. Un impegno “di facciata” e nulla più, perché “se in superficie il divario è stato colmato, al di sotto della superficie le coese sono ancora complesse”. Lo denuncia lo studio su “La posizione della donna nel mercato del lavoro dell’Unione europea” realizzato dal servizio Ricerche del Parlamento europeo per conto della commissione Diritti delle donne.
Basta dare un’occhiata all’indice per la parità di genere (Gei) per rendersi conto della strada ancora da fare: i valori dell’indice – che misurano il grado di parità con una scala crescente che va da 1 a 100 – sono più bassi di quanto si possa aspettare da un’Unione europea promotrice di uguaglianza. Nell’Ue le donne hanno pari accesso alla salute (90,1), ma sono impiegate pochissimo nel mondo del lavoro (38 su 100 il divario), e hanno poco potere rispetto agli uomini (38 su 100). Un dato, quest’ultimo, che addirittura si dimezza a Lussemburgo (14,7) e Cipro (12,2), con l’Italia di poco migliore (18,6). Le donne hanno anche poco, pochissimo, accesso a istruzione e formazione (48,9). In questa speciale classifica si distinguono in negativo Portogallo (30,4), Bulgaria (32,0) e Italia (32,1) per maggior gap uomo-donna. Il risultato è facilmente immaginabile: il potere economico della donna è inferiore a quello dell’uomo. Ma nel complesso l’indice di parità di genere mostra una donna che fa fatica a raggiungere l’uomo e un’Europa che arranca nell’abbattimento delle differenze: 54 su 100 l’indice dell’Ue, che scende in alcuni casi anche a 37 (Bulgaria), 40 (Grecia) e 40,9 (Italia).
Data la situazione per gli autori dello studio non c’è dubbio che “nel complesso c’è la necessità di introdurre una prospettiva di genere nelle misure a sostegno della crescita”, perché le donne sono tenute ai margini. Oggi, soprattutto nei paesi mediterranei dell’Ue, una donna su due lavora a mezza giornata suo malgrado. Non è lei a chiederlo, ma è quello che il mercato del lavoro può offrire in tempi di crisi. E’ la lavoratrice appartenente alla fascia di popolazione attiva che si considera come “part-time involontaria”, l’insieme di quanti hanno trovato solo a tempo parziale, pur avendo cercando impieghi full-time. In Grecia, Spagna e Italia sono la maggior parte dei lavoratori part-time lo sono non per scelta, ma per imposizione (64%, 60% e 59% rispettivamente). E’ tempo dunque di invertire la rotta. “L’intera politica economica ha ignorato le disuguaglianze di genere e potrebbe continuare a farlo soprattutto adesso che non ci sono risorse”, avverte lo studio. Tuttavia “prevedere una prospettiva di genere nelle misure anti-crisi aiuterebbe ad uscire dalla situazione attuale prima e meglio”. Per lo studio del Parlamento è quindi tempo di “un nuovo accordo rosa”: credito d’imposta per salari bassi, sostituzione dell’indice di tassazione familiare con un indice di tassazione individuale, investimenti in nidi aziendali, congedo di maternità obbligatorio e retribuito, alcuni dei suggerimenti che arrivano dal Parlamento Ue.