Nel Pleistocene i maschi facevano i maschi e le femmine facevano le femmine. Ora è tutto più complicato e si affaccia il sospetto che il sesso debole sia diventato quello maschile. Telmo Pievani, filosofo della biologia, e Federico Taddia dedicano a questa tendenza “Il maschio è inutile. Un saggio quasi filosofico” (Rizzoli, pp. 196, € 15), un libro che va alle radici – evolutive – del problema, e un’analisi della cultura contemporanea in cui scienza e satira sociale si fondono per raccontarci con ironia qualche scampolo di realtà. Ne anticipiamo due stralci.
Secondo un luogo comune, i maschi sono più grandi e robusti delle femmine. Corpulenti e corazzati, competono tra di loro per conquistarle, e così la stazza, come le corna e altri strumenti di offesa e difesa, può fare la differenza. Succede, per esempio, tra i cervi e i leoni marini, dove il maschio massiccio è anche una scelta delle femmine: le dimensioni sono per loro un buon indizio di salute fisica e un criterio efficace per individuare il partner migliore, il padre ideale per eventuali figli.
Ma le differenze di corporatura tra maschi e femmine (il cosiddetto «dimorfismo sessuale») possono essere di segno diverso, e qui la natura si sbizzarrisce. I maschi tendono a essere più grandi nei vertebrati come noi, ma se usciamo dal provincialismo antropocentrico, e consideriamo tutti gli animali nel loro insieme, scopriamo che generalmente sono le femmine a essere più grandi. Anche a loro conviene, infatti, essere grosse per avere un maggiore tasso di fertilità (nei ragni, per esempio, le femmine più grosse ospitano più uova) o per farsi scegliere dai maschi (de gustibus…). Così il rapporto può essere invertito: a fronte di femmine gigantesche, i maschi rimpiccioliscono. Diventano nani.
Il fenomeno è diffuso nei ragni, come si diceva, nei cirripedi (crostacei attaccati alle rocce), nella rana pescatrice e in molte specie parassite. I maschietti dei microscopici rotiferi, per esempio, coabitano con le femmine e traggono sostentamento dalle loro escrezioni, senza le quali non sopravvivrebbero. Davvero umiliante, va detto, se non fosse per il fatto che procurano alle loro compagne una sostanza preziosa: lo sperma. Più che parassiti, per gli scienziati sono, dunque, gigolò: vivono stipendiati o nutriti da una o più femmine, in cambio di prestazioni sessuali.
Se i maschi sono minuscoli, poi, se non combattono tra di loro, se fanno i bravi e consumano poco, le grandi femmine possono alimentarne diversi, garantendosi una riserva di variabilità genetica «in casa», anzi letteralmente «tra le sottane», come si diceva una volta. Nei ragni della seta dorata, detti anche ragni banana, sono addirittura le femmine a calibrare le dimensioni dei maschi. Lottando uno con l’altro questi tendono a crescere, ma le femmine sono molto aggressive con i ragni più grandi e talvolta… se li mangiano. A causa della selezione e del cannibalismo operati dalle femmine, una certa percentuale di maschi resta quindi piccola. Tra il rischio di essere sbranati (prima, durante o dopo la copula) e gli scontri all’ultimo sangue per accaparrarsi la virago di turno, la loro esistenza dev’essere un inferno!
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