Ora il problema è come uscirne fuori. Potrebbe essere tutto un abbaglio. Ma se non lo è come si farà a dimostrare che pagare l’uno per cento di imposte è in linea con le norme comunitarie? Come si fa a smentire un commissario autorevole come Joaquin Almunia? Come si fa a dire che 548 documenti sulle trattative riservate tra governo lussemburghese e multinazionali sono stati male interpretati?
Il punto debole di Jean-Claude Juncker è uscito fuori, forse più presto del previsto, ed ha messo in difficoltà tutti: governi, partito popolare, liberali, e anche i socialisti, che con questo ultimo avvenimenti dimostrano al pochezza della guida del loro partito europeo.
Che Juncker sia stato per diciannove anni premier del paese dell’Unione europea che più di tutti ha difeso il segreto bancario ed ha ospitato società discutibili, offrendo regimi fiscali al limite delle decenza, e forse oltre, non era un segreto per nessuno. Ma, con una sorta di doppia morale favorita anche dal suo indiscutibile contributo portato per lungo tempo alla causa europeista, lo si è sempre trattato come se lui fosse la faccia europea del paese che nulla ha a che fare con le politiche da “paradiso fiscale” praticate nel piccolo granducato. Sarà difficile per lui questa volta difendersi dietro il “non sapevo” che lo ha salvato da conseguenze penali quando era premier ma gli ha fatto comunque perdere il governo, quando si scoprì che sotto la sua presidenza i servizi segreti compravano e vendevano automobili e altri beni in maniera del tutto illegale a vantaggio delle tasche di pochi. Omessa vigilanza ma nessun reato si disse, e si dimise. Poi perse le elezioni e gli rimase solo la candidatura a Bruxelles per non andare in pensione. Ma sulla questione fiscale, visto che era premier e per molti anni anche ministro delle Finanze, sarà più difficile per lui dire che qualche oscuro funzionario del suo piccolo paese da mezzo milione di abitanti ha da solo fatto accordi con aziende come Apple o Unicredit per sottrarre alle tasse di altri paesi europei e dunque ai loro ospedali, alle loro scuole, ai loro servizi per i cittadini centinaia e centinaia di miliardi. Mentre ad alcuni di questi paesi si imponevano, con l’accordo di Juncker, le politiche di austerità.
La vergogna, se tutto questo sarà provato, non è solo nell’aver tradito lo spirito europeo, nell’aver (forse anche) tradito le leggi europee, ma è nel dimostrare uno sfrontato cinismo che va ben oltre la questione sociale che Juncker dice di avere tanto a cuore. Juncker, personalmente, e il suo paese, avrebbero tolto soldi dalle tasche dei cittadini italiani, spagnoli, portoghesi francesi e forse anche tedeschi e danesi, per arricchirsi loro indebolendo i sistemi sociali e le politiche di bilancio di altri partner europei. In più dalle indagini in corso è emerso un problema di cooperazione tra le autorità lussemburghesi, quando Juncker era premier, e la Commissione. Tanto che si è finiti in tribunale perché dal Granducato durante il premierato di Juncker e anche dopo non arrivavano le informazioni richieste. Ora, dicono alla Commissione, va un po’ meglio. Tutto questo lo sapevano i popolari europei, lo sapeva Angela Merkel, lo sapevano i lettori di questo sito e lo sapeva il Pse come l’Alde. Ma (non eunews) si è fatto finta di nulla, si è sostenuto un uomo dal passato problematico, anche se personalmente simpatico, brillante e certamente intelligente, e ora si deve trovare la maniera di uscirne fuori. Grazie ad Almunia e ai suoi uomini (che non sono grigi burocrati) che hanno scoperto la magagna e grazie ai giornalisti che hanno lavorato per mesi perché la cosa fosse resa il più chiara possibile e non potesse essere affossata, ora le azioni di Juncker sono davanti a tutti. Si deve fare chiarezza, dicono adesso socialisti e liberali, come se fino a ieri non ne avessero saputo nulla. Si dovrà uscire da questa situazione. L’unica speranza è che per il bene dell’Unione europea non la si tiri troppo in lungo: Juncker, come dice Gianni Pittella dalla maggioranza, come dicono dall’opposizione i Verdi, deve chiarire immediatamente, entro pochi giorni, la sua situazione. Il presidente della Commissione ha anche il dovere di mettersi in una posizione dove non è ricattabile da parte di nessuno.
La Commissione europea, in particolare in questa fase, non può vivere nell’incertezza, nel dubbio, nell’attesa di un chiarimento, E una questione di credibilità non solo di di Juncker ma delle istituzioni europee. Se il lussemburghese non ha le credenziali per fare il suo lavoro lasci subito e permetta un immediato ricambio. Se invece le ha lo dimostri, lo chiediamo con un grido di speranza democratico, lo faccia subito, entro la prossima settimana, perché sia possa cominciare a lavorare seriamente in nome dei cittadini europei, perché a nessuno posso venire il dubbio che i 300 miliardi che (forse) Juncker troverà per rilanciare l’economia europea non finiscano in gran parte in banche lussemburghesi ad ingrassare quel già ricco Paese alle spalle dei lavoratori europei.