di Berlaymont
Un’ottima coreografia, non c’è che dire. La commedia dell’arte sui conti dell’Italia e della Francia si è svolta come da copione. Atto primo: sia l’Italia-Brighella che la Francia-Pulcinella annunciano dei budget per il 2015 che prevedono chiaramente uno sforamento degli obiettivi di riduzione del deficit previsti dal Patto di stabilità; entrambi i governi, però, fanno finta di niente. Atto secondo: cominciano le fanfaronate. La Germania-Capitano comincia a fare la voce grossa, mentre Italia e Francia dichiarano che una sforbiciata in più ai conti danneggerebbe la ripresa economica. Atto terzo: la Commissione-Colombina chiede “maggiori informazioni”, anche se è chiaro a tutti che sta chiedendo ai due discoli di rivedere le loro finanziarie. Atto quarto: Italia e Francia annunciano “nuove misure” e “previsioni aggiornate”, che però si capisce essere state previste fin dall’inizio, e già negoziate con la Commissione. Atto quinto: la Commissione annuncia di essere soddisfatta. Alla fine del pezzo, il cuore canta: “Tutto è bene quel che finisce bene”.
Oltre all’innegabile talento degli sceneggiatori e degli attori, quali conclusioni si possono trarre da questa operetta? Il primo insegnamento è che ormai c’è un consenso intorno al fatto che bisogna fare uso di tutta la flessibilità contenuta nel Patto: è chiaro tanto e Bruxelles quanto a Roma e a Parigi che sarebbe politicamente insostenibile ed economicamente sbagliato spingere con troppa forza sul freno. Ovviamente, Bruxelles deve salvaguardare il più possibile la credibilità del Patto, e per farlo deve spiegare che le regole, nonostante tutto, sono state rispettate (gli specialisti di finanza pubblica direbbero che deve “far entrare il piumino da letto nella valigia”).
La maniera più semplice per offrire maggiore flessibilità nell’applicazione delle regole sarebbe stata quella di attivare la clausola che permette di sospendere per un anno l’applicazione del Patto in presenza di circostanze straordinarie. Ma un gesto così plateale non è il modo ideale per concludere (Barroso) o iniziare (Juncker) un mandato di presidenza della Commissione.
La strada scelta è stata quindi quella di usare tutta la flessibilità contenuta nel Patto, e anche qualcosa in più. Per l’Italia, questo vuol dire un rallentamento nella strada verso il pareggio di bilancio (facilmente giustificabile, vista la scarsa crescita) e la sospensione temporanea della regola sul debito, quella che prevede una riduzione, al ritmo di un ventesimo l’anno, della parte eccedente al 60% del rapporto debito/Pil (più difficile da giustificare). Per la Francia, invece, comporterà probabilmente una modifica della raccomandazione del Consiglio che prevedeva una manovra correttiva pari allo 0.8% del Pil, che sarà portata allo 0.5%.
È una strada scivolosa quella che ha intrapreso la Commissione, che in questo modo ha segnalato la sua disponibilità ad adottare in futuro una giurisprudenza chiaramente “flessibilista”. Un fatto che potrebbe essere mal visto sia dagli stati più “virtuosi” che dalla Bce. Allo stesso modo, la sua credibilità in quanto custode dei trattati potrebbe soffrire di un’interpretazione troppo elastica delle regole adottate dal Parlamento e dagli stati membri. Infine, un’interpretazione troppo elastica delle regole corre il rischio di rendere ancora più oscuro e incomprensibile il funzionamento del meccanismo di governance europea agli occhi dei cittadini, minando ulteriormente la loro fiducia nelle istituzioni europee.
Detto questo, bisogna comunque riconoscere che la Commissione, a suo modo, è riuscita ad ottenere quello che è il suo obiettivo da sempre: una lenta ma progressiva riduzione del deficit degli stati membri.