Rischiano di aprire un altro pesante fronte di tensione tra Russia e Occidente le elezioni per eleggere presidenti e parlamentari delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, nell’est dell’Ucraina. Elezioni non autorizzate dal governo centrale ucraino, che aveva proposto di svolgerle a dicembre, e illegittime secondo l’Unione europea, ma che la Russia si è già affrettata a riconoscere. A trionfare alle urne, come era facile immaginare, sono stati i leader separatisti: a Donetsk ha stravinto il leader dei ribelli, il premier Aleksandr Zakharcenko che, secondo un exit poll, è stato eletto presidente con l’81,37% delle preferenze e ha trionfato anche in parlamento con il suo partito “Repubblica di Donetsk”. Anche a Lugansk, scontata la vittoria del leader locale dei ribelli: Igor Plotnitski, un ex militare nostalgico dell’epoca sovietica.
Poco dopo la chiusura dei seggi, il ministero degli Esteri russo ha annunciato di ritenere valide le elezioni dei ribelli e di rispettare “la volontà espressa dai cittadini del sud-est”, sottolineando l’alta affluenza alle urne. Le elezioni nel sud est dell’Ucraina hanno “legittimato” la separazione del Donbass dal resto del Paese, canta già vittoria il capo della commissione elettorale dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk, Roman Lyagin: “Le elezioni sono state legittime e senza significative violazioni che potrebbero influenzarne l’esito. Ora abbiamo un’autorità legittima, il Donbass non è più parte dell’Ucraina, piaccia o no”, ha detto.
Dichiarazioni che mandano su tutte le furie Kiev che non ha alcuna intenzione di perdere altri pezzi dopo l’annessione della Crimea alla Russia. Ci sarà una risposta “adeguata” a queste elezioni, ha avvertito il presidente ucraino, Petro Poroshenko, secondo cui le elezioni sono state “una farsa sotto la minaccia dei carri armati”. Le autorità di Kiev, che sono anche tornate a denunciare il continuo intenso spostamento di mezzi militari russi nel sud-est del Paese, hanno già lanciato un’inchiesta contro gli organizzatori del voto separatista, accusai di voler “cambiare l’ordine costituzionale” e “prendere il potere”. Ma Kiev si è scagliata anche contro gli “osservatori internazionali” che hanno seguito le elezioni, annunciando che saranno dichiarati “persone non grate” e non potranno mettere piede in territorio ucraino.
Dura anche la condanna dell’Unione europea: considero le elezioni “un nuovo ostacolo sul cammino di pace in Ucraina”, sottolinea Federica Mogherini nel suo primo comunicato come Alto rappresentante per la politica estera Ue, chiarendo: “Il voto è illegale e illegittimo e l’Unione europea non lo riconoscerà”. Mogherini ricorda che le elezioni dei ribelli separatisti non hanno rispettato quanto deciso dagli accordi di Minsk: l’Ucraina aveva infatti acconsentito ad una larga autonomia per il sud-est ed elezioni locali nell’ottica di un decentramento del potere, ma non l’indipendenza del Donbass da Kiev. Le autorità ucraine avevano anche accordato ad alcune aree della regione uno “status speciale” per tre anni e fissato le elezioni locali per il 7 dicembre. Data che i ribelli hanno unilateralmente deciso di anticipare, “ostacolando gli sforzi – sottolinea Mogherini – per trovare una soluzione politica sostenibile alla crisi”.