Ridare credibilità all’Unione europea. E’ questa la missione di lungo termine della Commissione europea che da oggi guiderà Jean-Claude Juncker. A breve, immediatamente c’è da risolvere il problema della crescita, in particolare dal punto di vista dell’occupazione. La Commissione Barroso si accommiata dicendo che i livelli raggiunti sono “intollerabili”, ma non è riuscita a frenare il fenomeno; forse, tranne alcuni come il bravo Laszlo Andor, neanche lo aveva come priorità. La Commissione Juncker ha come primo dovere quello di creare lavoro e lui, il presidente, lo sa bene, anche perché fu lui il primo politico in assoluto che sentimmo dire, già all’inizio del 2008, che “questa crisi può far saltare la coesione sociale”. Il dovere di garantire il diritto al lavoro viene ancor prima della tutela della coesione sociale, e ne è elemento indispensabile. Non che basti questo perché l’Ue riparta, c’è la dimensione politica complessiva del dove si vuole andare, quella istituzionale, la questione dei diritti, del ruolo nella politica internazionale, ma nulla si può costruire se non c’è consenso sociale su chi guida.
Juncker la sua analisi/previsione la fece quando i posti di lavoro ancora non erano stati bruciati, e lo disse perché probabilmente aveva capito dove si stava andando a finire. Probabilmente Juncker ha quella visione del futuro che è mancata a Barroso. Non ha l’immagine dell’uomo “nuovo” che secondo molti ci sarebbe voluto, che potesse portare aria davvero diversa a Bruxelles. Non lo è, è invece uno dei protagonisti, pur se riottoso, degli anni delle politiche di austerità, ma “se uno il coraggio non ce l’ha non può darselo”, e Juncker, leader di un minuscolo paese che si trovava a fare il presidente dell’Eurogruppo, il club esclusivo dei ministri delle Finanze dei paesi della moneta unica, seguì le forze che dominavano. Questi stessi, pur con forti dubbi iniziali, gli hanno permesso di essere lì dove è ora. Angela Merkel lo ha subito fatto affiancare con un abilissimo e ambizioso capo di gabinetto tedesco, Martin Selmayr, ed ha costellato la sua Commissione con decine di tedeschi nei posti chiave, così è tranquilla che nulla sfugga al controllo di Berlino. (Agli italiani è andata meno bene, come numeri l’Italia ha più membri di gabinetto che con Barroso, ma in quasi tutti i gabinetti chiave non c’è ombra di membri italiani).
Juncker poi ha tentato la mossa che tanti, forse tutti gli osservatori aspettavano da tempo: è solo un embrione, ma il lussemburghese ha creato un a sorta di “gabinetto” composto da suoi vicepresidenti che dovranno coordinare le diverse aree di intervento della Commissione. Mossa saggia e benvenuta, ventotto “ministri” non si vedono oramai in nessun governo democratico, e poi ventotto ministri che fanno ognuno quel che vuole, anche magri in contrasto o ripetendo le mosse di altri come avveniva con Barroso, non sono quel che serve all’Unione. E’ una prima mossa questa, la speranza corale è che funzioni, il timore è che si finirà presto in un impasse che di fatto smonterà la costruzione. CI saranno occasioni per discutere di cosa e come fare per la nuova Unione europea, la prima proprio in Italia, organizzata da eunews.
La Commissione di Juncker, di primo acchito, non sembra fortissima. Non ci sono grandi personalità, e neanche molti politici con un passato di gran successo. Ma il lavoro da fare è enorme e non servono primedonne, ma un gruppo che lavori affiatato, se ci riusciranno. Con Barroso l’Unione ha toccato il fondo (almeno, si spera che lo sia), e il problema è che c’è rimasta attaccata. Juncker e i suoi dovranno ripartire da lì e difficilmente potranno far peggio, anche perché oramai tutti, Merkel compresa, si sono resi conto che seppure si devono fare “i compiti a casa” come, con espressione odiosa, questi maestri continuano a ripetere, è il momento di investire, di trovare dei soldi e metterli in qualcosa che abbia un impatto più efficiente e immediato sui cittadini che far pareggiare dei conti che possono tranquillamente essere tenuti in “sbilancio” ancora per un po’. Tutti son dunque d’accordo a trovare 300 miliardi “per la crescita e l’occupazione”. Se davvero questi soldi “freschi” li si troverà, e li si spenderà con saggezza, allora il primo gradino per uscire dal fondo sarà stato scalato, e l’Unione europea potrà tornare ad essere un’ambizione.