In un contesto come quello della crisi ucraina, in cui i motivi di ottimismo sono di gran lunga sopravanzati da quelli che puntano in direzione contraria, il risultato delle elezioni parlamentari della settimana scorsa rappresenta -assieme alla notizia delle ultime ore dell’intesa finalmente raggiunta sulle forniture invernali di gas, una salutare boccata d’ossigeno.
L’esito delle consultazioni è infatti da considerarsi positivo – tanto più in quanto insperato- da tutti i punti di vista. Per la performance sorprendentemente al di là delle aspettative della vigilia- uno scarto che richiama alla memoria, fatte le debite proporzioni, quello delle più recenti elezioni al Parlamento Europeo in Italia – del partito del PM Yatseniuk (e di una galassia di altre formazioni di ispirazione moderata e riformista). Per il non-successo del Presidente Poroshenko, il cui partito dovrebbe però conquistare il maggior numero di seggi grazie alle alchimie del sistema elettorale, e la cui leadership pertanto non viene seriamente compromessa malgrado il monito difficilmente equivocabile ricevuto. Per il fiasco, infine, dei gruppi estremisti, che riusciranno ad inviare in Parlamento alcuni dei loro esponenti più coloriti (e maneschi), ma in numero largamente più contenuto rispetto alle previsioni- un risultato che da una parte smentisce la propaganda che dipingeva l’Ucraina in preda all’estrema destra, dall’altra corrobora qualche interrogativo sulla rappresentatività del governo transitorio in cui gli esponenti dei gruppi radicali hanno occupato posizioni di rilievo rivelatesi sproporzionate rispetto al loro peso effettivo.
Un voto che rappresenta un chiaro mandato in favore di un percorso di riforme ad avvicinamento all’UE; e al tempo stesso un altrettanto chiaro rigetto dell’abbraccio soffocante delle politiche russe – una sanzione sotto molti aspetti ben più significativa di quelle decretate a Washington o a Bruxelles.
Sarebbe un errore, però, lanciarsi in trionfalismi quanto meno prematuri. Per l’Ucraina, infatti, il difficile comincia adesso. Con l’avvio di una stagione di riforme strutturali difficilmente eludibili – che una fetta significativa di elettorato ucraino ha indicato di non essere disposta ad attendere – che però altrettanto inesorabilmente sono destinate a produrre scontento, forse tensioni e probabilmente anche rimpianti all’insegna del ‘si stava meglio quando si stava peggio ‘.
‘Reforms! Aren’t things bad enough already?’ tuonava un non meglio specificato politico inglese dell’Ottocento. C’è da scommettere che l’interrogativo non tarderà a serpeggiare nelle menti di molti cittadini ucraini – come già serpeggia, del resto, in diverse altre parti d’Europa.