Lo scopo della missione europea, lanciata nel 2008, è quello di aiutare le autorità kosovare a lottare contro la corruzione e instaurare nel Paese lo stato di diritto. Eppure ora è proprio Eulex Kosovo a trovarsi al centro di pesanti accuse di corruzione. A fare scoppiare il caso la denuncia di un membro della stessa missione, il procuratore britannico Maria Bamieh, ora sospesa dal suo incarico. Le accuse sono gravi: Bamieh ha raccontato al quotidiano locale Koha Ditore di avere raccolto elementi che proverebbero che responsabili di Eulex si sarebbero fatti comprare, accettando di chiudere, in cambio di denaro, almeno tre inchieste penali riguardanti casi di omicidio e corruzione. La denuncia del procuratore britannico riguarda in particolare il procuratore capo della missione, la ceca Jaroslava Novotna, il giudice italiano, Francesco Florit e il procuratore canadese, Jonathan Ratel. Bamieh afferma di essere a a conoscenza di informazioni che, se svelate, “dovrebbero scioccare l’Unione europea perché questa organizzazione spreca i soldi dei contribuenti e non fa nulla per il popolo kosovaro”.
Le accuse saranno oggetto “di un’inchiesta approfondita”, le stiamo prendendo “molto seriamente”, ha garantito nel corso di una conferenza stampa il capo della missione, Gabriele Meucci. Il responsabile ha però voluto sottolineare che Eulex era già al corrente della accuse dal 2013 e che la missione e “il sistema giuridico kosovaro aveva lanciato un’inchiesta congiunta su questo dossier”. Indagine che Meucci non ha voluto precisare a quale stadio si trovi in questo momento. Gli accusati, intanto, rimangono saldamente ai proprio posti perché, ha ricordato anche la commissione europea, non si può dimenticare di applicare la presunzione di innocenza.
L’unica ad essere sospesa con una lettera la scorsa settimana, qualche giorno prima che scoppiasse lo scandalo, è stata la stessa Bamieh, l’autrice della denuncia che ora accusa: “Mi vogliono punire per quello che ho scoperto per caso, facendo semplicemente il mio lavoro”. “Non si tratta di una punizione ma di una misura che si applica in questo genere di situazioni”, spiega invece Meucci. “Non so quali sono le spiegazioni” dei diretti interessati, si difende la procuratrice britannica, ma “il mio dovere come procuratore era di segnalare questo genere di cose. Se non l’avessi fatto mi avrebbero rimproverato di essere coinvolta”.