Gli Stati membri smettano di fare i capricci, abbandonino le dichiarazioni che il gioco (e gli elettori) delle parti impongono e mettano sul piatto le risorse che devono. È il messaggio che arriva dalla Commissione europea in risposta alle reazioni di Regno Unito e Italia alla richiesta di rivedere il contributo nazionale per il bilancio comunitario, con un aumento stimato a 2 miliardi per Londra e 340 milioni per Roma. Intanto, fanno notare gli uomini del commissario per il Bilancio, Jacek Dominik, i governi non possono far finta di cadere dalle nuvole perché la notizia relativa alla correzione è arrivata in tutte le capitali dei Paesi Ue il 17 ottobre, e poi anche i dati non sono una sorpresa dato che il ricalcolo del Reddito nazionale lordo – su cui si basa il contributo degli Stati al budget comunitario – lo forniscono i vari istituti nazionali di statistica, e non la Commissione.
La questione è tecnica: dall’1 dicembre entreranno in vigore i nuovi criteri statistici di calcolo di Reddito nazionale lordo (Rnl) e Prodotto interno lordo (Pil), che comporteranno in molti casi aumenti nelle cifre. Le regole dell’Ue prevedono che gli Stati membri finanzino il bilancio comunitario per una somma pari ad un ammontare percentuale del Rnl, che per Regno Unito e Italia significa per il 2014 rispettivamente 14,6 e 16,7 miliardi di euro. A quota percentuale costante, all’aumentare del valore del Reddito nazionale lordo corrisponde un incremento del valore percentuale della quota da versare. In Regno Unito come in Italia i valori aumentano, ed ecco il conto: due miliardi in più per sua maestà e 300 milioni in più per noi. Ma non finisce qui: oltre al nuovo modello di calcolo statistico, si va a sanare una situazione per cui, da qualche anno a questa parte, gli Stati pagavano sulla base di dati non veri. Da accordi il bilancio dell’Ue si finanzia sulla base del Rnl annuo a prezzi di mercato, e i governi hanno sempre pagato sulla base di ammontare stimati a inizio anno che poi a fine di esercizio finanziario si rivelavano inferiori. A titolo d’esempio: il Regno Unito pagava l’aliquota sulla base di Rnl presunti di 100 ma poi a fine anno lo stesso Rnl risultava essere 103, o 104, e la differenza non veniva recuperata. Adesso si mette mano anche al pregresso.
“Non c’entra nulla la Commissione, dipende tutto dagli Stati in quanto sono loro a fornirci i dati”, spiega il commissario per il Bilancio, Jacek Dominik. “Dall’1 dicembre gli aggiustamenti entreranno in vigore, e quindi ci si aspettiamo che i paesi paghino quello devono pagare”. Niente storie. Del resto le regole parlano chiaro: i Paesi membri sono tenuti a versare la propria quota, e se non lo fanno devono pagare un multa mensile pari al 2,5% di quanto sono chiamati a mettere. Dominik lo sa, come sa che al Regno Unito tocca il ritocco più salato, ma “per legge la Commissione è tenuta ad aggiornare il calcolo dei Redditi nazionali lordi ai fini del contributo al budget dell’Unione europea, e le nuove cifre le forniscono gli istituti nazionali di statistica”. Lo sanno anche a Londra e Roma, dunque. “Sono sorpreso che si siano sorpresi”, rivela Dominik. L’Europa funziona così. Prendere o lasciare. Anche su questo il popolo britannico dovrà esprimersi nel 2017, quando dovrà decidere se continuare a farne parte.