Riduzione delle emissioni di gas serra del 40%, aumento al 27% del consumo obbligatorio di rinnovabili a livello Ue e incremento dell’efficienza energetica entro il 2030. L’Unione europea ha fissato i suoi obiettivi per la lotta al cambiamento climatico questa notte a Bruxelles. Il consiglio europeo ha preso una decisione, il che è di per se un risultato non scontato, ma la soluzione non soddisfa né gli ambientalisti né gli industriali.
Il Consiglio ha approvato un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Il target dovrà essere raggiunto collettivamente dall’Ue e prevede una riduzione dei costi sia per i settori coperti dal sistema di scambio delle quote di emissione (Ets), sia in quelli non coperti da esso, pari rispettivamente al 43% e al 30% rispetto al 2005. Il sistema Ets, riformato, sarà lo strumento principale per raggiungere l’obiettivo.
Il fattore annuale di riduzione del tetto massimo di emissioni consentite verrà innalzato dall’1,74% al 2,2% a partire dal 2021. Per evitare il rischio di carbon leakage, ovvero la rilocalizzazione in paesi terzi che pongono meno vincoli ambientali alle emissioni di CO2, le quote gratuite continueranno ad essere assegnate anche dopo il 2020. In questo contesto una mano viene data agli stati membri con un PIL pro capite inferiore al 60% della media dell’Ue. Essi potranno scegliere di continuare ad assegnare al settore energetico quote a titolo gratuito fino al 2030. Per i settori non coperti dal sistema ETS, gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni saranno definiti sulla base del Pil relativo pro capite, ed oscilleranno fra lo 0% ed il -40% rispetto al 2015.
Il secondo obiettivo dell’Ue, per la quota di fonti energetiche rinnovabili consumate, è fissato almeno al 27% nel 2030. Il target è vincolante a livello europeo ma gli stati membri potranno fissare propri obiettivi nazionali più ambiziosi e sostenerli, così come, se si rispetterà la media a livello comunitario, questi potrebbero essere più bassi
È fissato invece come obiettivo “indicativo”, il miglioramento del 27% dell’efficienza energetica nel 2030, rispetto alle proiezioni del futuro consumo di energia. Questo terzo ed ultimo target Ue sarà riesaminato entro il 2020, tenendo presente un livello Ue del 30%.
Nel perseguire questi 3 obiettivi, gli stati membri continuano ad essere liberi di decidere il proprio mix energetico.
Parallelamente ai target su emissioni, efficienza e rinnovabili, il Consiglio europeo ha rilevato la fondamentale importanza di un mercato interno dell’energia pienamente funzionante e connesso. Per questo motivo è stato fissato un target minimo del 10% per le interconnessioni elettriche esistenti, da realizzare non più tardi del 2020, per gli Stati baltici, Portogallo e Spagna, che non hanno ancora conseguito un livello minimo di integrazione nel mercato energetico interno. Particolare attenzione sarà rivolta inoltre alle zone più remote e/o meno ben collegate del mercato unico, come Malta, Cipro e Grecia.
Infine, nel tentativo di aumentare la sicurezza energetica, specialmente per quanto concerne gas ed elettricità, il Consiglio ha deciso di attuare il corridoio nord-sud, il corridoio meridionale di trasporto del gas e la promozione di un nuovo hub gasiero nell’Europa meridionale.
Scontenti dell’accordo su clima energia 2030 sia gli industriali sia le organizzazioni ambientaliste ed il partito dei Verdi europei. BusinessEurope, la confindustria europea, critica l’Europa per il suo scarso slancio a ripensare la propria politica e a renderla più efficiente economicamente. “I leader europei non hanno avuto la forza di reindirizzare la politica climatica ed energetica dell’Europa a favore della competitività internazionale dell’industria europea”. Mentre il target del 40% è considerato “molto ambizioso”, i provvedimenti presi per contrastare il carbon leakage sono stati invece considerati insufficienti.
Altrettanto insoddisfatti i Verdi europei che vedono negli obiettivi adottati una significativa battuta d’arresto per l’Europa efficiente e rinnovabile. “Un target al 27% per rinnovabili ed efficienza energetica è un passo indietro che equivale a rallentare la trasformazione Verde dell’economia e indebolisce fortemente la posizione dell’Ue ai negoziati internazionali sul clima di Parigi 2015” dichiara Monica Frassoni, coordinatrice di Green Italia e co-Presidente del Partito Verde Europeo. Mentre Stati membri come Polonia e Regno Unito “si sono messi in prima linea per bloccare possibili target più ambiziosi”, il ruolo del governo italiano “è stato nullo in questa partita”. Secondo Frassoni, Matteo Renzi “ha deciso di lasciare fare alle lobby fossili e non ha portato alcun contributo al rafforzamento del ruolo dell’Unione Europea nella battaglia sui cambiamenti climatici e sulla transizione”.
Amareggiata dagli obiettivi “decisamente modesti” anche l’organizzazione non governativa Greenpeace. “La lotta globale ai cambiamenti climatici richiederebbe un trattamento shock, invece quello che l’Ue ci propone è, al massimo, una cura a base di Sali”, dichiara Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. La lista dei delusi si allunga ed include anche al WWF, l’organizzazione ambientalista Friends of the Earth, e l’Ufficio europeo dell’ambiente che include le maggiori organizzazioni ambientaliste non governative, tra le quali figura anche Legambiente.