Il quaderno che raccoglie dal marciapiede ha la copertina nera e il filo delle pagine rosso. Davanti al dubbio se sia stato smarrito o abbandonato, conviene che in fondo anche lo smarrimento è una forma di abbandono. Lo apre. Una grafia piana e leggibile, come quella di certi adulti infantili, racconta che nella metro di Roma grandi foto di David Beckham seminudo pubblicizzano una linea di intimo maschile. A colpire chi scrive è soprattutto l’espressione incazzata di Beckham. A un certo punto, quasi a giustificarlo, dice: “Magari a casa sua è un pacioccone, non è detto che essere il marito di Victoria Adams comporti per forza ritrovarsi una faccia del genere. Forse gli è stato chiesto di fare l’incazzato, contando sul fatto che non dovrebbe riuscirgli difficile, da marito di una Spice Girl”. L’arguzia si perde presto in un ragionamento scricchiolante: “Siccome i destinatari di quell’intimo maschile sono le donne, vuol dire che alla maggior parte delle donne piace il maschio incazzato, quello che, se gli gira, prima le batte e poi le sbatte”.
Da lì, solo pagine bianche. Concludere in quel modo significa non aver capito che la pubblicità in questione non si basa sui gusti delle donne ma è spia dell’immaginario maschile, indica quello che la maggior parte degli uomini crede possa piacere alle donne. Chissà se poi le due cose coincidono. Ficca il quaderno in un cestino dei rifiuti.
Non l’avrebbe neanche notata, la vetrina, senza quel ritrovamento. Un David Bekham di cartone svetta, in canottiera e slip, tra capi di intimo maschile indossati da manichini trasparenti i cui attributi non si limitano all’accenno. Il fisico del calciatore, in effetti, è muscoloso, i tatuaggi abbondano. Lo sguardo, poi, acido muriatico. Una virilità agli antipodi della sua, e forse è proprio questo a farlo decidere.
Insaccato nell’impermeabile chiaro, spinge la porta del negozio e istintivamente, davanti alla commessa, tira in dentro la pancia. Passa in rassegna la merce esposta, e infine compra un boxer e uno slip: entrambi grigio-ferro, la scritta del logo a spiccare, bianca, sul nero dell’elastico.
Per tornare a casa devia lungo una strada affollata dove sfoggia il prestigioso sacchetto. Nel colpo d’occhio che si regala in una vetrina coglie cenni di durezza. Vorrebbe spiarsi di più ma l’aureola di freddo intorno ai lampioni lo convince a rientrare. Chi ha il pisello grande usa gli slip, chi ce l’ha piccolo, i boxer. Da qualche parte l’ha ascoltata, o letta, una scemenza del genere. È forse per sfuggirle che ha comprato l’uno e l’altro?
Gli piace la casa calda. Risparmio su tutto meno che sul cibo, sente dire di solito. Lui, invece, è per il riscaldamento che non bada a spese. Il freddo gli sembra una condanna da cui lo libererebbe solo un clima da estate continua, col corpo che aderisce nudo al tepore, visibile a tutti senza i ricatti della bellezza.
Appende l’impermeabile in ingresso, e si spoglia; sistema i vestiti sull’omino accanto al letto, e le scarpe appaiate al solito posto, coi calzini dentro. Estrae dalla busta le mutande e sceglie prima i boxer. Grandezza del pisello a parte, lo intralciano di meno. E poi non è vero, come dicono, che senza sostegno le palle calano. Le palle sono un mondo a sé che cambia di continuo: da sacche pendule arrivano a trasformarsi in una rattrappita sfera grinzosa, come fossero di persone diverse. Per non parlare del pisello.
Davanti allo specchio resta impassibile. Sa di essere niente. Di più: sa di essere un grasso niente che si concede boxer inappropriati. Alla sua età essere niente è un buon risultato. Non ne è fiero, ma gli fa piacere. Pensa alla Dolce Euchessina e si rammarica che non esista più. Come non esistono più, forse, l’Amaro Medicinale Giuliani, la soluzione Schlumm, il Formitrol. Ma che importa: ora indossa un intimo alla moda, e poco male se il ventre straborda sull’elastico e copre una parte del logo. Può fare anche lui la faccia incazzata, i tatuaggi magari se li disegna, e pazienza per il palestrato. Si sfila i boxer e prova gli slip. Stavolta l’espressione alla Beckham gli riesce solo dopo molti tentativi. La possibilità di fotografarsi neanche la prende in considerazione. Niente falsi. La fotografia sta seppellendo la realtà; sembra raccontare la vita e invece provoca una superfetazione dei suoi angoli morti. Ormai sull’argomento ha fatto chiarezza: contano solo i ricordi, e non le loro riproduzioni. Col selfie, poi si è toccato il fondo. Prima, almeno, per un po’ soggetto e fotografo coesistevano. Ora accade tutto nell’officina della solitudine.
Sulla mensola accanto al lettore CD guarda il modellino dell’auto da corsa di Manuel Fangio, il suo eroe: mezza ossidata, ruote storte, pilota con tanto di casco e occhialoni. La molla della carica è rotta, ma qualche traccia olfattiva della prima volta ancora persiste. La prende. Odora di Befana. Coi regali ricevuti il sei gennaio era possibile giocare un solo furioso giorno, prima che riaprissero le scuole. Rimediava in modo animale, annusando: carta dei libri, latta colorata dei giocattoli, caldo odore di chiuso al ritorno dalle vacanze, l’ottone dei compassi nel nero dell’astuccio. All’album delle figurine ne mancava sempre qualcuna, e quello rilegato e lucido dell’Astra Francobolli quasi temeva di rovinarlo aprendolo. I primi francobolli collezionati venivano dai Cremifrutto Althea. S’illudeva di scegliere il pezzo raro interpretando il poco visibile attraverso un piccolo foro sulla confezione. Vaghi colori, parvenze, possibilità. Non indovinava mai.
Apre il cassetto e prende l’album dell’Astra. Com’è ruvido, adesso, il liscio del patinato. Com’è privo di senso il logorarsi. Tutto si assottiglia, si riduce, tranne il corpo che con gli anni tende a ingrandirsi. Potrebbe pescare da qui spunti per l’epitaffio a cui da tanto lavora. Il tempo non gli manca, e prima o poi le parole con cui tramandarsi le trova, non fosse altro che per scongiurare sciagurate iniziative degli eredi.
Si sfila gli slip e indossa il pigiama. L’ha comprato all’Oviesse, e ancora tiene. Appena scende il silenzio della strada, salgono gli acufeni. Stasera danno un concerto di musica concreta. “Sentire sé stessi” aveva battezzato il fenomeno al suo manifestarsi dopo che l’otorino gli aveva suggerito di imparare a conviverci; e anche “la musica dell’esistere”. Una musica a lungo inudibile perché tutta l’attenzione, di solito, è rivolta agli artifici dell’illusione, e solo quando si è pronti per la verità, il sangue racconta alle orecchie le inenarrabili pene del suo quotidiano e sempre identico fluire. Colpa del cuore. Guai cercare qualcosa di armonico nella fisiologia. Guai farne lezione. Vivere è un male da cui salvano solo le endorfine. Liberi dal dolore, il tempo molla la presa, e per un istante tutto può sembrare eterno.
A letto segue pensieri dalle mille direzioni, e piano piano l’epitaffio prende forma: “Sparì nudo così come apparve”. Gli sembra giusto: il coraggio del sé vissuto che si unisce alla naturalezza delle origini. Prima di spegnere la luce guarda slip e boxer sul pavimento: flosci, con la sola tenue traccia dell’impronta ricevuta, e poi il logo, su cui aleggia la faccia incazzata di Beckham. No, veste decisamente troppo, quell’intimo, per chi ambisce all’incontro delle nudità.