Venerdì si terrà a Roma la prima conferenza nazionale di Cild Italia, organizzazione che raccoglie diverse associazioni e ong operanti nel campo dei diritti umani. Cild sta contribuendo alla revisione periodica universale (Upr) della situazione italiana in seno al Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani, davanti al quale il nostro Paese dovrà illustrare il proprio resoconto a fine ottobre. Eunews ha intervistato Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, uno dei membri di Cild Italia, il quale ha presentato a Ginevra, il 7 ottobre scorso, un documento alternativo a quello ufficiale del Comitato interministeriale per i diritti umani, l’organo del governo che si occupa del rispetto degli obblighi assunti dal nostro Paese in accordi e convenzioni internazionali sui diritti umani.
Perché un documento alternativo, cosa c’è non va in quello ufficiale?
Prima voglio sottolineare un fatto positivo: il Comitato interministeriale ha elaborato questo documento aprendo un dialogo con le organizzazioni della società civile. Un passo avanti rispetto alla chiusura del 2009, quando ci fu il precedente esame in seno allo Upr. Di negativo c’è però che nel documento del Comitato interministeriale si vedono dei tentativi di edulcorare la situazione, presentandola meno pesante di quello che è. Noi invitiamo a essere sinceri fino in fondo.
In che senso?
Alcune obiezioni del Consiglio Onu per i diritti umani segnalano che in Italia ci sono carenze legislative in alcuni punti. Manca una commissione nazionale per i diritti umani indipendente, manca una legge che proibisca la tortura, non c’è una legislazione contro l’omofobia. L’Italia risponde che si stanno facendo passi in avanti perché ci sono delle proposte di legge su questi temi. Ma noi sappiamo che le proposte di legge possono rimanere in un cassetto anche per tutta una legislatura, a meno che non siano presentate dal governo che spinge per la loro approvazione.
Cosa proponete, quindi?
Chiediamo che il governo, quando verrà chiamato a Ginevra per la revisione periodica, annunci delle proposte di legge dell’esecutivo su questi tre temi, per colmare le lacune che sono intollerabili.
Quali altre priorità vanno affrontate in materia di diritti umani?
In primo luogo l’immigrazione. In Italia manca una legge di tipo europeo sulla cittadinanza che riconosca il diritto sulla base dello jus soli (è cittadino chiunque nasca sul territorio nazionale, ndr). Legato alla cittadinanza c’è il diritto di voto per i residenti. Noi pensiamo che chi risiede in Italia debba poter partecipare alla vita politica nelle elezioni amministrative, a prescindere dalla sua nazionalità. Poi c’è il tema del razzismo, l’inclusione di Rom, Sinti e camminanti, il sovraffollamento delle carceri, le discriminazioni di genere e la trasparenza nella pubblica amministrazione.
Sull’Immigrazione, l’Italia chiede che diventi una questione europea. È una posizione che condividete?
Intanto vorrei dire che l’operazione Mare nostrum rimedia in qualche modo alla politica illegale dei respingimenti in mare, voluta dall’allora ministro degli Interni Roberto Maroni. Poi, sicuramente l’accoglienza è un problema europeo e la legislazione comunitaria non aiuta. Però l’Italia non può essere solo una terra di transito verso altri paesi europei che concedono più facilmente il diritto di asilo. Il nostro Paese deve assumersi la responsabilità di concedere – o rifiutare se non ce ne sono i presupposti – il diritto di asilo in tempi rapidi.Certo, essendo un paese di frontiera nel Mediterraneo, è essenziale l’aiuto dell’Ue in termini economici e di risorse umane. Ma l’Italia ha fatto anche tanto piagnisteo su questo tema.
Più in generale, in Europa, qual è la situazione dei diritti umani?
Esiste una Europa occidentale e una orientale. Quella orientale ancora fa fatica ad elevare i propri standard. Quella occidentale è un po’ ambigua. Ad esempio, l’Olanda ha il più basso tasso di affollamento penitenziario d’Europa, però ogni tanto ci sono rigurgiti di razzismo e una estrema destra pericolosa. La Francia, che sul terreno dei diritti religiosi e di quelli di genere è molto avanzata, nell’integrazione dei Rom fa molta fatica. L’Inghilterra vuole addirittura uscire dalla Convenzione europea sui diritti umani, però per altri versi assicura un giusto processo che magari ce l’avessimo in Italia. C’è quindi una situazione che va omogeneizzata, e il nostro impegno con i nostri partner europei è di socializzare e condividere le migliori prassi presenti in ogni paese e lavorare per la loro diffusione per cercare di elevare lo standard europeo nel suo complesso.
Avete collegamenti con altre organizzazioni in Europa?
Facciamo parte di una rete che si chiama Liberties. È una piattaforma che socializza campagne su scala europea. C’è una campagna contro il governo ungherese per il modo in cui sta aggredendo, anche fisicamente, l’associazionismo. Una contro la decisione del Governo inglese di uscire dalla Convenzione europea sui diritti umani. Poi una campagna di sostegno legale alle donne che, soprattutto in alcuni paesi dell’Est europeo, non hanno la possibilità di un sostegno nella loro decisione di abortire.