Sarà un incontro di ”autocoscienza” il vertice tra i ministri delle finanze dell’euro che si apre questo pomeriggio in Lussemburgo. Non ci sono decisioni d prendere, e questo forse rende più complicata la questione, perché quello che si cerca sono idee. Idee su come dare finalmente una svolta vera alla lotta contro la crisi, ora che i bilanci degli stati sono stati messi sotto controllo. Idee, ad esempio, su come permettere a Francia e Italia di andare avanti senza penalizzarle. Creare dissesti nella seconda e terza economia dell’euro non conviene a nessuno: non solo potrebbero far affogare con se gli altri partner, ma assorbono anche una grande quantità dei prodotti che gli altri spediscono all’estero e forniscono gran parte dei beni che gli altri usano per produrre e consumare nella vita quotidiana. “Troppo grandi per fallire”, si dice di alcune banche, e vale anche per gli stati.
Francia e Italia saranno al centro dell’attenzione, ma non saranno neanche il tema principale. Il quindici, dopo domani, tutti dovranno presentare i loro bilanci a Bruxelles che, in teoria, dovrebbe rispondere con le sue osservazioni entro una settimana, quindi entro il 22, proprio il giorno nel quale è previsto il voto di fiducia del Parlamento europeo per la nuova Commissione che entrerà in funzione il primo novembre (sempre che si riescano a rispettare i tempi), alla quale la vecchia potrebbe decidere di lasciare la gestione di questo dossier che nessuno ama. Perché l’economia non si riprende, è asfittica in gran parte dell’Unione, anche in Germania cominciano a suonare dei campanelli di allarme, e se l’economia va male è un problema forse più grosso di un paio di grandi paesi che non rispettano numeri fissati così, per intesa politica, ma che non sono temperature oltre le quali ci si scioglie. In Giappone il debito pubblico è storicamente vicino al 200 per cento e non è necessariamente un problema, non lo è stato negli anni della grande crescita economica. Dipende dal contesto, e finalmente in Europa si sta cominciando a pensare che è il caso di cambiare il contesto e di essere un poco più tolleranti sui “limiti”. Dunque più che i 2-2.5 miliardi che l’Italia potrebbe sforare o l’anno o due di ritardo con i quali la Francia raggiungerà il pareggio di bilancio, a Bruxelles ci si comincia a concentrare sulle condizioni nelle quali chiedere ti rimettersi in linea a chi sfora. Soprattutto se si è un grande paese e si è in recessione è quasi impossibile sistemare strutturalmente i conti. Questa che appare una realtà elementare ha faticato a far breccia in Europa. Ma se ne è accoro il presidente eletto della Commissione, che dovrebbe entrare in funzione il primo novembre, Jean-Claude Juncker, che nel discorso con il quale si presentò in Parlamento ripeté il mantra del rispetto dei vincoli, ma lanciò anche l’idea di un grande fondo di 300 miliardi freschi per fare investimenti che rilancino la crescita. Dove sono questi soldi, che Juncker ha detto di volere sul tavolo entro febbraio 2015, nessuno lo sa, si sa solo che saranno un po’ (pochi) pubblici e il resto privati. I ministri dovranno dunque aiutare il presidente della Commissione trovare la maniera di convincere i privati a tornare a investire in Europa e a farlo in qualcosa che sostenga l’occupazione. Perché una crescita solo finanziaria non serve se non ai pochi, pochissimi, che si arricchiscono.