In Europa 124 milioni di persone sono a rischio povertà ed esclusione sociale. Un record storico negativo da quando l’UE è stata fondata che mette in dubbio il ruolo dell’Europa come modello di prosperità e benessere per il resto del mondo.
La povertà, oltre a rappresentare una lotta quotidiana per la dignità e la sopravvivenza, fa male all’economia. Polarizzando il reddito, essa finisce col deprimere la domanda aggregata, danneggiando la crescita del paese e mettendone a dura prova le finanze pubbliche. La Commissione per la mobilità sociale britannica ha ad esempio stimato che la sola povertà infantile costi allo Stato 29 miliardi di sterline all’anno.
Al contempo nell’Unione europea si sta affermando un altro trend, rilevato dalla Commissione Europea, ovvero la crescente divergenza tra le situazioni sociali degli stati membri. Secondo la Commissione, tra il 2010-2012 la povertà e l’esclusione sociale sono aumentate negli stati colpiti più duramente dalla crisi economica come Grecia, Irlanda, Spagna, Italia e Cipro. Al contrario entrambe sono diminuite in Polonia, Lituania e Lettonia, mentre sono rimaste stabili in Repubblica Ceca, Germania, Francia, Olanda e Portogallo. Secondo il commissario europeo László Andor, intervenuto durante la conferenza sull’obiettivo povertà di Europa 2020, questo gap nel livello di povertà tra le società degli stati europei rappresenta “una minaccia alle performance economiche dell’Unione Economica e Monetaria perché nessuna Unione può funzionare se i suoi membri continuano progressivamente ad allontanarsi”.
All’origine dell’aumento della povertà ed esclusione sociale vi sono in primo luogo disoccupazione di lungo periodo, segmentazione del mercato del lavoro, e dalla polarizzazione dei salari che hanno aumentato significativamente il numero di persone a basso reddito o che vivono in famiglia senza lavoro.
Un secondo importante fattore che contribuisce a spiegare tale crescita, è la disuguaglianza economica. A questo proposito Andor ha sostenuto che “in alcuni dei nostri stati membri il reddito totale equivalente del 20% più ricco della popolazione è 6 volte il reddito del 20% più povero”. In un’economia che si contrae questa disuguaglianza rappresenta un problema poiché “più il reddito a disposizione delle classi abbienti aumenta, minore sarà quello disponibile per le classi medio basse”. Sebbene il livello di disuguaglianze all’interno dell’UE sia minore rispetto a quello registrato in altre parti del mondo, Andor ritiene sia necessario “continuare ad impiegare tassazione, politiche di welfare con una forte enfasi sugli investimenti sociali per ridurre le disuguaglianze create dal mercato del lavoro”.
Di fronte ai rischi posti dalla situazione economica attuale, l’intervento volto a ridurre la povertà deve servirsi in ultima istanza di politiche di welfare. In particolare Andor ha rilanciato “investimenti, stabilizzazione automatica e protezione” come i tre strumenti chiave per “aggiustare l’impatto degli shock economici sulle persone e distribuirli in modo più equo nel tempo tra i gruppi di reddito e le generazioni”.
Di conseguenza, per Andor è importante che l’UE non focalizzi l’attenzione su una singola politica ma bensì su un mix di politiche integrate e coerenti tra i vari settori, ovvero “più inclusive e guidate dagli obiettivi del trattato in merito al progresso sociale”.
“Non esistono soluzioni semplici” ha avvisato Andor, nelle battute conclusive del suo intervento alla conferenza belga. A prescindere dall’impatto della crisi economica, il ridimensionamento degli obiettivi nazionali o europei per la Strategia Europa 2020 non è auspicabile poiché lancerebbe un segnale negativo. L’unico “cambiamento epocale” deve riguardare l’ambizione degli stati membri, poiché “è un dato di fatto che la somma dei 28 impegni individuali presi per ridurre la povertà non corrispondono all’ambizione comune dell’UE di vedere 20 milioni di persone povere in meno nel 2020”.