di Black Swan
Riceviamo e pubblichiamo con piacere questa proposta di Black Swan, personaggio molto vicino agli ambienti del Tesoro italiano.
È noto come le famiglie italiane siano “asset rich, cash poor”. Secondo dati della Banca d’Italia, su una ricchezza privata netta che supera gli 8.000 miliardi, quasi 6.000 miliardi derivano infatti da proprietà immobiliari che nella maggior parte dei casi non sono però liquide (casa di abitazione). E la prima casa dei genitori sempre di più rimane tale anche per figli ultratrentenni che non trovano lavoro o comunque percepiscono stipendi di livello non sufficiente per la contrazione di mutui per la prima casa. In questa situazione, interventi di garanzia statale sui mutui non possono che avere un impatto marginale.
L’operazione da fare è quella di “estrarre valore” dalla casa dei genitori per colmare il gap finanziario che impedisce ai figli di accedere ai mutui per cifre congrue. Nel 2005 è stato introdotto nell’ordinamento italiano lo strumento del “prestito vitalizio”, simile ai reverse mortgage diffusi da decenni nei paesi anglosassoni. Per vari motivi di debolezza, sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta, lo strumento non è mai decollato. Così come succede negli USA, attraverso una presenza pubblica (cofinanziamento della Cassa Depositi e Prestiti) sarebbe tuttavia possibile superare i problemi che hanno fin qui impedito la diffusione dello strumento, collegando funzionalmente il prestito vitalizio dei genitori al mutuo prima casa dei figli. 2,5 miliardi di interventi annui cofinanziati da CDP e banche potrebbero attivare nuovi mutui per circa 12 miliardi e permettere l’accesso alla casa a circa 100,000 giovani.
Per illustrare i termini del problema, partiamo da un esempio concreto, che utilizzeremo nel resto del documento. Secondo le stime di www.immobiliare.it , il prezzo al mq di un immobile a Roma è di circa 3.650 euro. Ipotizziamo che due “ragazzi” ultratrentenni attualmente ancora a casa dei genitori siano potenzialmente interessati all’acquisto di un appartamento di 80 mq, al costo di 290.000 euro circa. I due ragazzi insieme hanno un reddito mensile di 2.400 euro. Sul sito www.mutuionline.it si fa una prima scoperta: se il prezzo della casa è di 292.000 euro, dati reddito, età, ecc., un mutuo a trent’anni per l’intera somma comporta una rata mensile di circa 1.650 euro. Resterebbero solo 750 euro al mese per tutto il resto: si tratta dunque di una soluzione impraticabile. Ipotizziamo che per vivere i “ragazzi” abbiano bisogno di disporre di almeno il 50% del loro reddito netto (1.200 euro). Imponendo tale vincolo nella ricerca del mutuo, si ha che se la rata del mutuo non deve superare i 1.200 euro, l’importo sarà di 232.000 euro. Mancherebbero dunque 60.000 euro.
Va detto che qualche giorno fa è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che prevede la possibilità di garanzie pubbliche per i mutui casa. L’intervento è tuttavia destinato a un impatto marginale. Da un lato, il relativo fondo è pari a soli 200 milioni annui per tre anni. Dall’altro, dato che può essere garantito solo il 50% di mutui casa per un importo massimo di 250.000 euro, l’intervento stesso non sarebbe risolutivo per i ragazzi dell’esempio in questione (mancherebbero comunque 42.000 euro). La garanzia può servire, attraverso tassi più contenuti, a mitigare l’impatto della rata sul bilancio familiare, ma non incide sul problema principale: oggi come oggi, il problema dell’accesso alla proprietà è infatti quello dell’accesso al credito. Anche in presenza di bassi tassi d’interesse, il prezzo degli immobili è infatti talmente sproporzionato rispetto ai redditi medi da rendere problematica per i più l’accensione di mutui ipotecari per un importo sufficiente. In una città come Roma, anche con la garanzia dello stato non è quindi possibile per i redditi medio-bassi, in assenza di liquidità aggiuntiva, accedere alla casa solamente tramite mutuo. Che fare allora?
Un modo per rendere più gestibile il problema è quello di trovare strumenti che riducano sensibilmente il fabbisogno finanziario da coprire attraverso mutuo. Uno strumento utile per avviare il processo potrebbe essere un meccanismo da molti anni diffuso nei paesi anglosassoni: il reverse mortgage, che in italiano potrebbe essere chiamato Via (Valorizzazione immobiliare anticipata). Non vi è passaggio di proprietà, ma solo un debito zero-coupon. Non vi è quindi ammortamento di nessun tipo fino a quando alternativamente: a) l’ultimo dei cointestatari originali muore; b) l’immobile viene venduto. Solo in quel momento è necessario rimborsare la Via in cash per un ammontare che non può in nessun caso essere superiore al valore dell’immobile se lo stesso viene venduto. Qualora non si rimborsi la Via in cash o non vengano corrisposti i proventi della vendita la banca si appropria dell’immobile per tutto il suo valore. Vi è in ogni momento la possibilità di rimborsare anticipatamente il debito.
Al contrario di quanto avviene nelle vendite di nuda proprietà, non vi è quindi trasferimento di titolarità dei diritti (ove si saldi in cash, neanche in caso di morte o vendita) e si può in ogni momento disporre totalmente dell’immobile. Rispetto al mutuo ipotecario standard, il profilo di rischio è legato in modo univoco al mercato immobiliare (gli aspetti reddituali del mutuatario sono pressoché irrilevanti). Attraverso un’erogazione che rappresenta una frazione minoritaria del valore dell’immobile, il rischio immobiliare viene tuttavia minimizzato. Data l’esistenza di un cap sul valore del debito accumulato (che non può mai superare il valore dell’immobile), il profilo di rischio primario per il mutuante sarà infatti quello immobiliare, e non più – come nei mutui tradizionali – quello reddituale del mutuatario. Fino ad oggi la Via in Italia ha funzionato poco per una serie di motivi. Alcuni sono di carattere tecnico (fiscalità, tassi alti, ecc.), ma quelli assolutamente cruciali sono stati due:
- diffidenza dei proprietari nei confronti delle banche;
- riluttanza delle stesse banche a gestire un rischio immobiliare puro (fra le banche italiane, l’unica formalmente attiva nel settore è MPS). Recentemente (luglio 2014) alcuni parlamentari Pd, fra i quali Marco Causi, hanno proposto supposte migliorie che dovrebbero superare alcuni dei problemi registrati. Fra l’altro, un emendamento prevede che in caso di eccessivo ribasso del mercato immobiliare le banche possano chiedere il rimborso anticipato del prestito. Ma questo ovviamente non può che rendere ancora meno attraente la Via agli occhi dei proprietari di immobili!
Com’è noto, l’Italia è un paese nel quale sono ancora forti i meccanismi di solidarietà intergenerazionali. La Via potrebbe quindi contribuire a risolvere il problema – sempre più pressante – dei figli ultratrentenni che rimangono con i genitori perché impossibilitati ad accedere alla prima casa. Se uno dei “ragazzi” ultratrentenni di cui sopra vivesse nella casa di proprietà da 110 mq (che vale circa 400.000 euro) di un genitore 65enne potrebbe essere possibile una Via che generi circa 60.000 euro (il 15% del valore totale). E nell’esempio che abbiamo fatto, 60.000 euro rappresentano proprio la liquidità necessaria che insieme a un mutuo da 232.000 euro può consentire ai “ragazzi” di acquistare la loro prima casa.
Rebus sic stantibus, i problemi di domanda (diffidenza verso le banche) e di offerta (riluttanza verso il rischio immobiliare) che abbiamo menzionato ostacolano tuttavia questa soluzione. Proprio qui c’è un ruolo potenzialmente decisivo per un soggetto pubblico come la Cassa Depositi e Prestiti, che potrebbe affiancarsi alle banche e cofinanziare l’operazione. Ma non solo. Da un lato, la convenzione CDP-banche potrebbe essere strutturata in modo da eliminare il rischio immobiliare per le banche senza porlo a carico dei proprietari (come previsto nel disegno di legge dei parlamentari Pd): la CDP potrebbe infatti garantire alle banche un x% dell’eventuale differenza positiva che dovesse sorgere al momento del rimborso tra debito maturato e valore di mercato dell’immobile. Dall’altro, proprio la presenza di una contrattualistica pubblica trasparente e standardizzata come quella della Cassa assicurerebbe quell’affidabilità che sinora è mancata, rendendo i proprietari estremamente scettici rispetto allo schema. Il risultato di tale operatività – che potrebbe essere limitata ai soli casi nei quali la Via è utilizzata per contribuire all’acquisto della prima casa di figli ultratrentenni occupati nelle città a forte tensione abitativa –, è proprio quello dell’abbattimento del fabbisogno di mutuo che abbiamo analizzato in precedenza.
Ove non si segmentasse l’area d’intervento , il problema avrebbe dimensioni intrattabili. Secondo l’ultimo Rapporto sulla coesione sociale, messo a punto da Istat, Inps e ministero del Lavoro (febbraio 2014), sono quasi sette milioni i giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono ancora a casa con i genitori. Di questi oltre tre milioni hanno superato i 25 anni. Si può quindi ipotizzare che gli ultratrentenni siano circa 1 milione. Solo un sottoinsieme di questi ultimi però:
- abita in città a forte tensione abitativa (Roma, Milano, ecc.);
- percepisce uno stipendio regolare che consenta di far fronte alle rate di mutuo;
- ha genitori che da un lato hanno superato i 65 anni (età minima per accedere alla Via) e dall’altro sono proprietari della casa in cui abitano.
Tentativamente, l’area di intervento potrebbe dunque essere stimata in 300-400,000 casi.
Con un importo medio della Via di 50.000 euro cofinanziato da banche e CDP, 2.5 miliardi annui di Via potrebbero attivare mutui per circa 12 miliardi e permettere l’accesso alla casa a circa 100,000 giovani, risolvendo ogni anno una porzione rilevante del problema.