di Berlaymont
Riceviamo e pubblichiamo con piacere questo “sfogo” di Berlaymont, uomo molto vicino agli ambienti della Commissione, che ci spiega i dubbi che attanagliano i dirigenti di Bruxelles in questi giorni, soprattutto in merito i problemi di Francia e Italia.
Nei palazzi della Commissione a Bruxelles non si sa più cosa fare con gli ultimi della classe europea: l’Italia e la Francia. I due paesi sfidano l’Europa, annunciando che il loro bilancio per il 2015 non sarà in linea con le nuove regole di governance economica europee. L’Italia non farà la manovra necessaria per aderire alla regola sul debito (ridurre di un ventesimo all’anno l’eccedenza rispetto alla soglia del 60% nel rapporto debito/Pil); mentre la Francia non correggerà il suo deficit eccessivo nel 2015, come richiesto, ma bensì nel 2017. La reazione della Commissione, per chi la conosce solo da quelle che se ne dice sulla stampa, è facile fa prevedere: avvertimenti, multe, sanzioni! In fondo la Commissione è diretta da fanatici dell’ultra-austerity, no?
Falso! La Commissione, in realtà, assomiglia più a quelle caramelle che sono dure fuori ma morbide dentro. Sostenere che le regole europee sono una gabbia per le politiche nazionali vuol dire dimenticare che dopo quindici anni e decine di procedure per deficit eccessivo, la Commissione non ha mai inflitto una singola multa a nessun paese. L’argomentazione secondo cui il problema in Europa sarebbe (anche) una carenza di domanda aggregata – e che dunque servirebbe una politica di bilancio più elastica – è presa molto sul serio dalla Direzione generale Affari economici e finanziari (ECFIN) della Commissione, che gestisce le regole di bilancio europee. I dirigenti europei sono consapevoli che è diventato politicamente impossibile per la Commissione richiedere manovre eccessive in un contesto di recessione o di stagnazione. Nonostante gli ammonimenti pubblici dei commissari, dietro le quinte si sta cercando il modo di concedere maggiore flessibilità ai governi sul fronte delle finanze pubbliche, rispettando allo stesso tempo le regole del Patto di stabilità e del Fiscal Compact. Ma non è facile.
Per capire perché basta guardare alla storia del Patto di stabilità. Quando è nato, nel 1997, era semplice ma “stupido” (seconda la famosa definizione di Prodi). Semplice perché sostanzialmente bastava rimanere sotto al famoso tetto del 3% di rapporto deficit/Pil per essere in regola. Stupido perché non teneva conto del ciclo economico, e costringeva dunque i governi a consolidare le loro finanze pubbliche anche in tempo di recessione o di crisi, quando l’economia ha maggiormente bisogna di sostegno. Dopo alcuni anni (e l’apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti della Germania e della Francia), con la riforma del 2005, si è deciso di renderlo più flessibile: quando arrivò la crisi del 2008, il Patto era stato notevolmente ammorbidito e la sua credibilità era incerta. A quel punto, un nuova riforma, che tenesse conto degli effetti della crisi e rassicurasse i mercati – spaventati dagli alti livelli di debito pubblico, soprattutto in Italia – era inevitabile. Il risultato furono il pacchetto di regolamenti six-pack nel 2011 e il celebre Fiscal Compact l’anno seguente.
Il sogno di un Patto di stabilità che operasse col pilota automatico ha partorito un insieme di regole che forse meno di cento persone in tutta l’Unione comprendono appieno: una folta vegetazione di regole minuziose che tengono conto di ogni possibile situazione, oltre che del ciclo economico. Le nuove regole sono anche più automatiche, per evitare che i grandi paesi riescano ad aggirare le regole in virtù del peso che esercitano all’interno del Consiglio europeo. Se il pilota automatico può essere utile in tempi normali, diventa però un problema quando si verifica un evento imprevisto. Ormai le regole sono così precise che anche la Commissione stessa ha un spazio di manovra quasi inesistente.
A Bruxelles tutti si rendono conto che non è il caso di appioppare una multa alla Francia o di iniziare una procedura per deficit eccessivo contro l’Italia nella situazione attuale di crescita bassa o nulla, in quanto questo rappresenterebbe un regalo per gli euroscettici. Ma non è chiaro come evitare di farlo senza violare quelle regole che la Commissione stessa ha promosso. Molte notti insonni attendono i nuovi commissari.