Il professor Mauro Gallegati, docente di Macroeconomia all’Università politecnica delle Marche, ha un curriculum internazionale. Ha condotto studi e prodotto pubblicazioni con diversi economisti, tra cui il premio Nobel Joseph Stiglitz, e ha scritto due libri di facile lettura anche per i non addetti ai lavori, Vie di fuga e Oltre la siepe, in cui spiega cosa non funzioni, a suo avviso, nell’economia europea, e quali siano le prospettive per uscire da una crisi che giudica “strutturale”.
Professore, quali sono le ragioni della crisi dell’economia europea?
Con Stiglitz e Greenwald abbiamo scritto che la crisi non è dovuta tanto alla finanza quanto al fatto che c’è un settore che sta morendo: quello della manifattura. Paradossalmente, l’aumento della produttività sta distruggendo la manifattura perché espelle gli operai sostituendoli con macchine. Le macchine non producono domanda ma solo offerta di beni da consumare. L’aumento della produttività, da un lato ci mette a disposizione una quantità maggiore di beni, ma dall’altro impedisce agli stessi beni di essere venduti sul mercato. E’ quello che succede oggi, ma è la stessa cosa che successe nel 1929 con l’agricoltura.
Con l’agenda strategica Europa 2020, l’Ue si è data l’obiettivo di raggiungere con la produzione industriale il 20% del Pil europeo. E’ una risposta adeguata a questo problema?
In realtà ci stiamo muovendo molto rapidamente verso una società di servizi e beni immateriali, e verso una economia verde. Dobbiamo rassegnarci ad avere un’industria che è ben al di sotto del 20% del Pil. Il nostro futuro non è l’industria che abbiamo visto negli ultimi 50 anni. Bisogna passare a una società in cui la conoscenza, la ricerca e lo sviluppo diventano gli elementi portanti.
Come vede l’Europa da questo punto di vista?
Alcune realtà europee sono sicuramente avanzate, come i paesi nordici. Il problema è che l’Europa è un continente sviluppato a date diverse. Ha paesi che si sono industrializzati in due secoli e altri che lo hanno fatto in 50 anni. Quindi anche il processo di conversione non può essere omogeneo.
Di cosa c’è bisogno per andare nella direzione da lei auspicata?
Quello che manca è una politica di respiro europeo, sovranazionale, che guardi al futuro. E’ questo che ancora non si intravede. Siamo legati all’idea di una crescita purchessia: non fa differenza se si punta su beni energy intensive o energy saving. Così non andremo da nessuna parte. Io auspico che si arrivi a realizzare politicamente gli Stati uniti d’Europa. Perché l’Europa deve essere una, pur nella diversità dei vari paesi, oppure non esiste.
Sarebbe un modo, per la politica, di riacquisire quel potere che finora è stato ceduto a organismi tecnocratici, ad esempio in ambito di politiche monetarie?
Sì, anche se non parlerei di ‘riacquisizione’ di potere riguardo alla politica monetaria europea, che di fatto non è mai esistita. Bisogna costruirla. Però siamo lontani e, soprattutto, non mi pare che la Germania abbia voglia o interesse di portarsi dietro il resto del continente, come fece con la riunificazione tra Germania Est e Ovest. Allora si stabilì un rapporto di 1:1 tra le loro valute, il che volle dire stampare moneta e immetterla nel mercato. E’ ciò che si dovrebbe fare anche oggi per gli altri popoli d’Europa. Ma è evidente che i tedeschi considerino diverse le altre popolazioni, dunque non sono disposti a fare questa concessione.