“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. (Cesare Pavese, La luna e i falò)
Oggi sarò breve. Sono a Brescia per una settimana per disintossicarmi dai fumi del lobbying brussellese e per ritrovare i miei cari. A forza di leggere del nazionalismo scozzese (ma non solo) sui giornali e vivere in un non-luogo identitario quale Bruxelles il livello di crisi esistenziale mi era ulteriormente salito. Avevo bisogno del cibo di mammà.
Va bene, tutti ormai saprete del risultato del referendum scozzese. Contenti, rabbuiati o semplicemente assonnati ne avrete sentita la notizia stamattina. Inutile stare qui a spiegarne dunque cause e miracoli. Gli scozzesi oggi avranno un motivo in più per ricordare la frenesia di ieri. Che vogliano continuare a fare parte del Regno Unito o meno, una cosa insieme hanno dimostrato di poterla fare : avere a cuore la sorte del proprio paese. Mille di questi referenda se ognuno di questi riuscisse a far votare l’85% (la più alta affluenza di sempre in un’elezione nel Regno Unito) degli aventi diritto ed a farne sentire la voce.
Il “No” ha vinto, ma non il Regno Unito per sè. Il segnale dato ieri è fortissimo ed avrà un forte impatto per i futuri avvenimenti politici. La strada è aperta per diverse concessioni e crea un forte precedente per i molteplici movimenti indipendentisti europei (qui devo battere i tasti con più cautela, non sia mai che qualche vicino leghista senta e tiri fuori il fazzoletto verde).
L’intera campagna referendaria, il fatto di poter votare e dare la propria opinione per il futuro destino della Scozia, è stata popolare prima che populista. Si stima che i tweets al riguardo siano stati più di 134.000 e che le voci più forti siano state proprio quelle dei giovani, che non faticano ad identificarsi con un sistema arcaico ed ancorato a simboli e trattati che datano secoli. L’indipendenza vera e propria non ci sarà, lo spirito è stato però quello giusto : fare sentire le proprie esigenze e creare, per via democratica, un dialogo (nel suo senso etimologico, in cui si ha un botta e risposta tra più parti).
Mille di questi referenda se così facendo la politica ritornerà ad essere res publica, se si ritornerà ad avere più consapevolezza delle decisioni prese e i loro effetti su ogni singolo cittadino. Bisognerà davvero arrivare a tanto per suscitare interesse nell’Unione Europea? Sarà per questo che il presidente della Commissione Europea, Juncker, ha parlato di ultima chance per i ventotto stati membri solo una settimana fa, designando i futuri commissari?
So che l’intera Unione Europea, e non solo la Scozia, pullula di giovani che vogliono poter avere voce nel capitolo “futuro” delle proprie vite, che sono stanchi di sentirsi inutili e mai abbastanza. Che si sentono parte di un progetto che va oltre il livello nazionale e vogliono contribuirne. Vedasi l’Italia, coi suoi giovani disoccupati al 42.9%, è davvero così difficile immaginare la percentuale di quelli che non credono più nel sistema politico attuale?
“Better together”, ma non fateci sentire soli.