Sean Connery contro David Bowie, Nord contro Sud, separatisti contro unionisti, ma anche centrosinistra contro centrosinistra e centrodestra contro centrodestra. Il referendum di oggii in Scozia sarà un momento storico (e questa volta il termine non è esagerato) e, comunque vada a finire, profondamente divisivo per una popolazione di cinque milioni e mezzo di abitanti che oggi deciderà il proprio destino: fuori o dentro al Regno Unito, dopo trecento anni.
I sondaggi sono quanto mai incerti. Le ultime rilevazioni hanno riportato i “no” alla divisione in testa, con un cinque per cento di voti in più, dopo che la scorsa settimana, per la prima volta, i “sì” erano passati in vantaggio di un paio di punti. Ma, anche qui, ad avere in pugno il destino della Scozia sono gli indecisi, che variano, secondo i sondaggi, dal sei al quattordici per cento. Essendo gli elettori un po’ più di quattro milioni (votano anche i sedicenni e i non scozzesi però residenti in Scozia) le persone da convincere sono tra le 240mila e le 550mila, un sacco di gente, alla quale i due fronti questa mattina si rivolgono con centinaia di nuovi manifesti e tonnellate di volantini. Il fronte del “sì” sembra quello più organizzato e qualcuno si aspetta che la Scozia sarà tappezzata di materiale elettorale separatista.
Tutti sono mobilitati, dalla regina Elisabetta in giù. La sovrana, che la maggioranza degli scozzesi vuole avere come capo di stato anche dopo un’eventuale separazione, come hanno ad esempio anche Australia e Canada, ha detto la sua un paio di giorni fa, invitando i suoi sudditi a “riflettere bene” su cosa vorrebbe dire separarsi. I partiti politici inglesi sono mobilitati per il “no”, e per l’occasione cancellano le distanze. David Cameron. Nick Clegg (il vicepremier liberale) e il leader labour Ed Miliband sono anche andati insieme a perorare la causa degli unionisti. Ieri il governo ha promesso nuove autonomie, in particolare sulla sanità, mentre il povero Miliband martedì è dovuto scappare da un comizio che stava tenendo in un centro commerciale a causa del crescente malumore tra gli ascoltatori. Eppure la Scozia, tradizionalmente, è di centrosinistra, ma oramai la frattura tra quelli che puntano alla separazione e i contrari appare profonda e insanabile.
Oggi dunque si dovrà dare risposta nelle urne alla domanda : “La Scozia deve essere uno stato indipendente?”. Il brevissimo e chiaro testo è stato negoziato lungamente, “in un processo costituzionale condiviso”, come spiega l’eurodeputato delle Scottish National Party Alyn Smith. Il negoziato democratico ha contraddistinto tutto questo percorso, con un confronto pacifico (in cui Cameron, dicono alcuni unionisti, è stato anche troppo superficiale e ottimista). E’ stato negoziato anche il “dopo”. Nell’eventualità di una vittoria del “sì” i negoziati per arrivare alla separazione inizieranno subito, e l’obiettivo a Edimburgo è quello di proclamare la nascita della Scozia autonoma nel marzo 2016. Questo processo sarà in realtà molto complesso, ci saranno discussioni su ogni cosa, perché benché la Scozia abbia conservato moltissime autonomie, come il sistema giudiziario ed abbia tuttora una banca centrale che batte moneta (la sterlina, per ora), si tratta comunque di dividere in due un paese dopo 300 anni. Quindi c’è il problema dei sommergibili nucleari che sono al Nord, dei giacimenti petroliferi, della sanità delle fonti energetiche, dei controlli alle frontiere, della durata dei passaporti UK ora in mano agli scozzesi…
E poi c’è il grande capitolo dell’Unione europea (e della Nato). Gli indipendentisti, anche se per ora rifiutano l’euro, sono fortemente europeisti, certo più degli inglesi. Nel Continente però la separazione è vista come fumo negli occhi da tutti i governi, in particolare da quelli che hanno pendenti questioni simili, come la Spagna con la Catalogna, o il Belgio con le Fiandre. O anche la Francia con la Corsica. Si temono poi ripercussioni sulla tenuta del governo di Downing street e delle reazioni dei mercati finanziari, che hanno già mostrato molto nervosismo. Dunque, tranne che dai partiti separatisti sparsi per il Vecchio Continente, si è sostanzialmente fatto quadrato per “sconsigliare” gli scozzesi a votare “sì”. La verità, come scrive lo studioso Graham Avery in un documento elaborato su richiesta della Camera dei Comuni e del Parlamento scozzese, è che “quelli che si oppongono alla separazione tendono a ad esagerare le difficoltà di un’adesione all’Unione”. Eppure qualcosa di molto simile è già successo, anche se al contrario: l’unificazione delle due germanie. “Quello fu un allargamento senza adesione, in questo caso avremmo un’adesione senza allargamento”, spiega Avery. Dunque esiste un precedenti che è pertinente.
Ma se poi i separatisti vincessero, cosa ne sarebbe di quel pezzo di Unione europea che ora fa parte del regno Unito? Ora si dice che per loro sarebbe difficile accedere, che ci vorranno anni, che si deve cominciare tutto dal principio e che non è detto che tutti i governi voteranno a favore di una Scozia nell’Ue. Esagerazioni, probabilmente. Il ministro spagnolo degli Affari Europei ha detto martedì che ci vorranno “cinque anni” per l’adesione, ma non ha detto “no”, non ha detto che Madrid voterebbe contro. Poi, una volta decisa la separazione, si tratterebbe di discutere con un nuovo paese che ha già tutto in regola per essere dell’Ue, facendone ora parte! I giuristi e i politologi, perché poi sarà la politica a decidere il che fare, iniziano ad ammettere che, per lo meno, il processo dovrebbe essere accelerato, magari limitato alla verifica che non ci sian cambiamenti istituzionali contrari allo spirito e alle norme comunitarie.
D’altra parte, scrive Avery, “lo scenario di una Scozia al di fuori dell’Ue e che non applica le regole dell’Ue sarebbe un incubo legale, che creerebbe difficoltà sociali ed economiche per i cittadini dell’Unione, che sarebbe privata dei vantaggi di una partecipazione di Edimburgo in termini di risorse finanziarie, di quote di pesca…” e tante altre cose che la ricca Scozia porta all’Unione. E poi, se il capo dello Stato resta poi lo stesso, come si potrebbero tenere lontani dall’Ue quelli che sono e resteranno sudditi di Elisabetta II?