Il mese scorso Draghi ha fatto scalpore dichiarando che era arrivato il momento di “cedere sovranità” all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali. Ha infranto così l’ennesimo tabù, dimostrando quanto la crisi abbia contribuito a rendere politicamente accettabili posizioni che sarebbe state considerate inammissibili solo fino a qualche anno fa. “È probabilmente giunto il tempo di iniziare a condividere la sovranità a livello europeo anche per quanto riguarda le riforme strutturali”, ha detto al termine del consiglio direttivo della Bce, sottolineando la necessità di “fare sul piano delle riforme strutturali quello che è stato fatto a livello di bilancio”.
Il riferimento all’Italia non è sfuggito a nessuno, tanto che poi Draghi ha citato esplicitamente il nostro paese, dicendo che l’Italia non soffre di un problema di domanda (“i consumi sono in ripresa”) ma di una carenza di investimenti privati, a sua volta dovuta – ça va sans dire – a “una mancanza di riforme strutturali” sul mercato del lavoro, nella giustizia civile e nella concorrenza. Infatti, ha poi continuato il n. 1 della Bce, “i paesi che le riforme le hanno fatte hanno registrato dei miglioramenti”.
Qualche giorno fa, poi, Draghi è tornato all’attacco, dicendo che “le riforme strutturali sono uno strumento necessario, gli stimoli monetari da soli non possono bastare senza riforme serie”. “Io sto facendo tutto il possibile, ora tocca a voi”: questo in sostanza il senso delle recenti esternazioni del capo dell’Eurotower. Ora, ci sarebbe molto da dire sul Draghi-pensiero. E qualcosa la diremo. Ma entrare nel merito delle dichiarazioni di Draghi implica l’accettazione implicita che il governatore della Bce abbia il “diritto istituzionale” di dare indicazioni di policy ai governi. E così non è. Lo dice chiaramente il report sulla troika stilato a marzo dal Parlamento europeo: “Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) circoscrive il mandato della Bce unicamente alla politica monetaria e alla stabilità finanziaria, e non prevede assolutamente il suo coinvolgimento nelle questioni di questioni di politica strutturale, fiscale o di bilancio”. Un giudizio quello del Pe che in sostanza mette seriamente in dubbio la legalità stessa della troika (e in particolare del ruolo della Bce al suo interno).
Renzi avrebbe dunque fatto bene a rispedire al mittente le frecciatine di Draghi, ricordandogli che le “riforme strutturali” sono di competenza esclusiva dei governi – e questo, sottolineiamo, a prescindere da quanto il nostro primo ministro, o chiunque altro, possa avere a cuore il tema delle riforme –, invece di dirsi “assolutamente d’accordo” col presidente della Bce, come ha successivamente dichiarato in un’intervista televisiva. Avrebbe così contribuito a ristabilire un minimo di equilibrio istituzionale all’interno dell’Ue, e a porre un freno a quell’involuzione autoritaria e anticostituzionale di cui la Bce è diventata il simbolo più evidente, alimentata in buona parte dall’ossequiosa (o opportunistica?) obbedienza dei governi nazionali.
Avrebbe anche potuto ricordargli che nessuna altra banca centrale al mondo – con l’eccezione forse della Banca mondiale, che però non è propriamente una banca centrale – usa l’enorme potere che deriva dalla sua capacità di emettere moneta per costringere i governi a implementare riforme politiche. Se il governatore della Federal Reserve si azzardasse a dare indicazioni di politica economica, fiscale o strutturale al governo statunitense, si ritroverebbe in mezzo a una strada in men che non si dica. Anzi: tutti i grandi paesi occidentali (Stati Uniti e Giappone in primis), in seguito alla crisi, hanno rafforzato il coordinamento tra autorità monetarie e politiche, con buona pace dell’“indipendenza” della banca centrale. Come ha dichiarato l’ex governatore della Fed, Bernanke, qualche tempo fa: “La Federal Reserve fa quello che le dice di fare il Congresso”.
Infine, Renzi avrebbe fatto bene a ricordare a Draghi che invece di occuparsi di questioni che esulano del tutto dalla sua competenza, farebbe bene a preoccuparsi delle uniche due cose che è chiamato a fare in base al mandato della Bce, e nelle quali sta fallendo miseramente: riportare l’inflazione (attualmente vicina allo zero) almeno al 2% e garantire la stabilità finanziaria dell’eurozona (chiunque conosca lo stato dei bilanci delle banche europee sa che al momento la stabilità è tutt’altro che garantita, come peraltro dimostra l’ostinato rifiuto delle banche di concedere prestiti alle famiglie e alle imprese, in Italia e altrove).
Volendo dimostrarsi competente in materia, avrebbe anche potuto contestargli l’idea che la Bce, in fatto di politica monetaria, stia facendo “tutto il possibile”. Non è così. A tal proposito, vi invitiamo a leggere l’articolo di Richard Wood, “Caro Draghi, la soluzione ai problemi dell’eurozona è l’Overt Money Financing”, pubblicato nel numero della settimana scorsa, in cui viene spiegato bene quali misure potrebbe mettere in campo Draghi per rilanciare la crescita e l’occupazione domani stesso.