I falchi dell’economia sono tutti lì, ai posti di comando, che sovrastano, con potere di veto, gli altri commissari. I vice presidenti che Jean-Claude Juncker ha voluto porre come vestali dell’ortodossia del rigore vengono tutti dal Nord Europa (lui compreso). La cosa riguarda anche Federica Mogherini, anche lei vice presidente della Commissione, che avrà potere di veto sulle proposte di tutti (e sono tanti, almeno cinque, più quelli che occasionalmente avranno a che fare con lei) i commissari che hanno una “proiezione esterna”. Federica una delle poche donne della nuova Commissione, solo nove, anche se Juncker si fa vanto di averne triplicato il numero rispetto alle proposte iniziali dei governi. Nove su ventotto è un indice negativo di parità di genere, e il problema non è che ci sono poche donne in grado di fare quel lavoro. Poi c’è il caso del britannico Lord Jonathan Hill, al quale sono stati affidati i servizi Finanziari, come mettere l’orso vicino ad un barile di miele. E poi ci sono quei commissari, due o tre, che potrebbero non passare il giudizio del Parlamento.
Epperò l’idea del lussemburghese non è sbagliata. Ci si lavorava da tempo, anche l’Italia è favorevole: creare un sistema di “cluster” di commissari “senior” di “coordinatori”, chiamiamolo come vogliamo per ora che deva ancora prender forma. Ha senso, in una Commissione di ventotto membri, più di qualsiasi governo europeo, uno per Paese, che probabilmente in futuro aumenteranno ancora. Così, soprattutto negli anni di Barroso, ognuno andava avanti per conto suo, proposte alle volte contraddittorie, alle volta duplicative di altre, alle volte del tutto superflue se non dannose arrivavano al Collegio dei commissari, che spesso le approvavano perché poi, di norma, morissero per strada ma intralciando il lavoro. Era l’ognun per se, nonostante il lavoro di ghigliottina, da molti giudicato dittatoriale (e forse era vero) della segreteria generale della Commissione. Ora Juncker vuole lavorare per progetti, con dei coordinatori (i vice presidenti) che tengono il filo, che fanno in modo che i commissari lavorino per obiettivi condivisi e possibili, magari in maggiore autonomia dai governi di quanto consentisse Barroso. L’idea è molto buona, si potrebbe guadagnare in efficienza e qualità. Ma non ci sono regole scritte per farla funzionare.
Il rischio è negli uomini (e nelle poche donne): perché tutto funzioni serve autorevolezza, prestigio, assertività ma anche modestia da parte di ciascuno. Nessuno, diciamo la verità, tranne forse pochissimi, in questa Commissione spicca per fama o leadership. Però ci sono 18 ex ministri o primi ministri (di paesi medio-piccoli), molti ex parlamentari, molti ex commissari. La qualità del materiale è buona, ma manca un leader. Quello che lo è più di tutti è Frans Timmermans, il primo vice presidente, il braccio destro di Juncker, ma sta lassù, sarà in grado di controllare davvero tutto? Il peso dei paesi poi conta. Se Mogherini, che dimostra ogni giorno di più di poter essere all’altezza del compito che la aspetta, viene dall’Italia, un paese disastrato ma comunque grande, pesante bell’Ue, lo stesso Timmermans viene dall’Olanda, che non è minuscola, è un paese fondatore, ma ha deciso in questi anni di contare in quanto alleata delle Germania. Altri vice presidenti vengono da piccoli paesi, come la Slovenia, la Lettonia, l’Estonia. La dimensione del paese ovviamente non fa la qualità delle persone, ma l’esperienza di governo sì, il peso in voti all’interno del Consiglio europeo sì. Tanto per capirci, Germania, Francia, Italia e Regno Unito hanno ciascuno 29 voti, Cipro, Estonia, Lettonia, Lussemburgo e Slovenia 4. E senza il voto del Consiglio non si va da (quasi) nessuna parte, a parte l’ovvio peso politico dei paesi. Il caso più eclatante è quello del francese Pierre Moscovici, sottoposto al potere di veto del lettone Valdis Dombrovskis. Ma ce ne sono anche altri e ci sono i casi dei commissari che devono rispondere a più di un vice presidente, qualcuno anche a cinque. Qui si spera che i vicepresidenti si accordino bene fra loro e convincano il commissario (che comunque mantiene il potere di iniziativa nel suo portafoglio), perché altrimenti interi settori potrebbero essere bloccati.
Il fatto che non ci siano personalità di indubbio prestigio in questa Commissione da un lato potrebbe creare problemi di mancanza di leadership, ma dall’altro, essendo tutti grosso modo sullo stesso piano professionale, con esperienze paragonabili, potrebbe portare ad una buona collaborazione nel tempo. Sempre se ognuno, in ogni momento, saprà ben bilanciare responsabilità, rispetto, peso politico, forza del progetto. Potrebbe essere la chiave di volta, come il pasticcio finale. L’unica è aspettare e vedere, i primi segnali non sono molto positivi, a dire il vero: in Francia sono arrabbiatissimi e non lo nascondono, mentre sul programma di lavoro, ad esempio sull’allargamento, già nascono problemi: tutti concordano di non aprire nuove porte in questi cinque anni, ma se gli uomini di Juncker dicono che si continua a negoziare solo con i paesi che hanno già lo status di candidati, da ambienti italiani vicini a Mogherini (che è la coordinatrice di questo settore) si dice che “questa cosa non è scritta da nessuna parte” e si sostiene che invece si possono continuare i negoziati anche con i paesi che già hanno iniziato un confronto formale pur non avendo lo status di candidati.
Oggi i nuovi commissari faranno un primo conclave. Si comincia e, davvero, staremo a vedere.