Non ci sono solo le questioni economiche: per la nuova Commissione europea già si profilano le prime grane anche su un altro delicato versante, quello dell’allargamento dell’Unione. Presentando le priorità del suo mandato a luglio, ancora prima dell’elezione, Jean-Claude Juncker è stato chiarissimo: “Non ci sarà alcun ulteriore allargamento nei prossimi cinque anni”, andranno avanti solo gli “attuali negoziati” in particolare per i Balcani occidentali “che hanno bisogno di una prospettiva europea”, ma per gli altri nulla da fare. Una posizione, quella di Juncker, che in questi mesi non è cambiata di una virgola, confermano ancora oggi dal suo staff. La sostanza è condivisa anche dagli altri membri della Commissione, ma ci sono in piedi molti negoziati, a vari livelli, con numerosi paesi. Tra i quali la Turchia. Che fine faranno?
E’ il primo dossier concreto sul quale si sta di fatto già scontrando la nuova Commissione. Già un “lungo negoziato”, fanno sapere qualificate fonti a Bruxelles che hanno partecipato alla formazione dalla nuova Commissione, è stato necessario per convincere Juncker ad inserire la parola “allargamento” nel nome di uno dei portafogli, visto che per lui poteva non comparire nemmeno. Alla fine si è arrivati alla formulazione attuale: “Politiche europee di vicinato e negoziati per l’allargamento”, affidati all’austriaco Johannes Hahn.
Al di là della terminologia, il fatto è che per il nuovo capo dell’esecutivo comunitario, spiegano fonti a lui vicine, proseguiranno i negoziati solo e soltanto con quei Paesi che hanno già ottenuto lo status di Paese candidato e che hanno i negoziati aperti. Non potranno invece avanzare quelli con chi ha negoziati bloccati o con le capitali che hanno già avviato il percorso ma non hanno ancora ottenuto lo “status” o con chi ancora non ha fatto nulla ma magari, fra tre anni, vorrà aprire un dialogo. Un punto su cui altri commissari saranno pronti a dare battaglia, a partire, sembra, dal futuro Alto rappresentante, Federica Mogherini. La posizione espressa dagli uomini di Juncker, “non è scritta da nessuna parte”, fanno notare con fermezza fonti italiane a Bruxelles.
In sostanza lo scontro è principalmente sulla Turchia. Ankara ha lo status di candidato da anni, ma i negoziati, sempre difficili, ora sono sospesi. Il Partito popolare europeo nel suo documento programmatico per questa legislatura dice che “una piena adesione (della Turchia) non è più un nostro obiettivo”. Juncker, popolare, non può che adeguarsi a questa volontà, e dunque la sua intenzione è di fermare del tutto anche la sola possibilità di riavviare i negoziati. Poi ci sono altri Paesi, la Macedonia, che ha lo status ma non ha negoziati in corso, mentre Albania, Serbia e Montenegro hanno lo status e stanno avviando le trattative. Infine ci sono Kosovo e Bosnia ai quali l’Unione ha promesso un percorso che porterà alla loro adesione, ma che sono ben lontani dal’avere lo status di candidati.
Se c’è un sostanziale accordo dunque a non aggiungere nomi a questa lista lo scontro in atto sembra essere su quali Paesi tra questi sette continueranno a negoziare. Certo è, e la posizione italiana lo spiega bene, che non può essere l’Ue a dar mostra di voler chiudere le porte a chi vuole entrare. Sarebbe un errore storico. Una cosa è dire che non ci saranno nuovi allargamenti nei prossimi cinque anni (ed infatti anche la tempistica tecnica in sostanza lo impedisce, almeno finché non si aprirà un eventuale caso Scozia, ma è altro discorso) altra cosa è dire che non si possono avviare negoziati con chi volesse unirsi. Sarebbe deleterio per l’immagine dell’Unione.