Non prendiamo parte nel dibattito su una Catalogna indipendente o su una Scozia indipendente. Son storie loro, riguardano tutti noi, ma a decidere devono essere solo scozzesi e catalani, in un processo democratico come sta avvenendo tra Londra ed Edimburgo, mentre tra Barcellona e Madrid c’è qualche problema in più. Stabilire un percorso, legale, condiviso, per arrivare a una scelta è però principio indispensabile in queste dispute, e Londra, la tanto criticabile Londra per molti aspetti, come l’atteggiamento verso l’Unione europea o le grandi disparità sociali che vanno accentuandosi giorno dopo giorno, ancora una volta ha offerto una grande lezione di democrazia istituzionale, gestendo in pace e nel dialogo un processo molto difficile, che potrebbe concludersi tra dieci giorni o andare avanti, in caso di vittoria del “Si” ancora per almeno un anno e mezzo.
L’Unione europea invece fino ad oggi non ha dato una gran prova di se. E’ vero che, in qualche maniera, Bruxelles tende, deve tendere, all’unità; il processo comunitario non va esattamente nello stesso verso di nuovi nazionalismi, pur se decisamente filo europei, e dunque José Manuel Barroso ed Herman van Rompuy non posso sbracciarsi a favore dell’indipendenza, così come non possono farlo a favore dell’unità però. Anche se è chiaro e comprensibile che le istituzioni europee vogliamo semplificare e non aumentare il livello di confusione. Due nuovi stati vogliono dire anche nuovi parlamentari da eleggere, nuovi commissari, due pareri in più nel Consiglio. Oltre che, come si accennava, una spinta in senso contrario a quello che si sta cercando di fare a Bruxelles.
Non è però accettabile che si dica che se la Scozia diventerà indipendente (e come lei la Catalogna, che però è molto più indietro nel processo) dovranno percorrere tutte le tappe da zero per entrate nell’Unione europea nella quale sono già. E sì, perché la chiave di lettura deve essere questa: Scozia e Catalogna sono parte costitutiva e attualmente indivisa e indivisibile (alle norme attuali) dell’Unione europea. Nessuna regione di uno stato membro può chiamarsi fuori dall’Ue, perché dovrebbe invece Bruxelles dichiarare “fuori” la stessa regione, le stesse persone il giorno che si scindono dall’attuale capitale? In Scozia, a Edimburgo come a Glasgow si applicano ora le stesse norme di Londra, Praga, Lisbona o Bruxelles. Catalogna e Scozia vivono secondo le regole dell’Unione europea: i loro sistemi giudiziari, educativi, commerciali, stradali, energetici, di tutela dei consumatori e di protezione della salute, sono quelli di un paese dell’Unione. Non stiamo parlando di un paese esterno, della Turchia, per dire, che vive secondo le sue regole democratiche che non sono necessariamente le stesse dell’Ue, e dunque bisogna armonizzarsi. Il famoso “acquis comunitario” in Scozia e Catalogna c’è già, vorrei vedere se oggi Barroso potrebbe anche solo metterlo in dubbio.
E allora questa Unione che si proclama inclusiva e democratica smetta di fare politica piccina per ramazzare qualche voto “No” (che poi, con la stima che hanno verso Bruxelles i cittadini britannici, probabilmente nessuno teme davvero di star peggio nell’eventualità di restare fuori dall’Ue), e dica che essere parte dell’Unione è una conquista che arricchisce in maniera permanente e che se una regione diventa indipendente parte già dalla fine del processo, dovendo, questo sì, solo mostrare a Bruxelles che la forma di governo scelta è compatibile con le tante che esistono tra i Ventotto, dalle più democratiche a quella ungherese, che non si cambia il sistema giudiziario o dell’istruzione in senso antidemocratico. Insomma, le divisioni possono non piacere, ma se sono frutto di un processo democratico non possono essere ostacolate dall’esterno o demonizzate.