Il governo catalano ha annunciato la sua intenzione di tenere un referendum sulla possibilità di dichiarare la propria indipendenza dalla Spagna il 9 novembre. Eppure, dato che il governo spagnolo si è dichiarato contrario al referendum, non è chiaro quale forma debba assumere tale voto, o persino se esso si possa tenere. Sebastian Balfour ci parla dell’emergere di una proposta alternativa fatta dal governo catalano di tenere una consultazione non vincolante sull’indipendenza, che in ogni caso porterebbe con sé la forza politica e morale di un referendum. Nota anche che nel contesto dato da tale incertezza, le tradizionali dimostrazioni associate al Giorno Nazionale della Catalogna, l’11 settembre, potrebbero essere di gran lunga le più importanti dalla transizione della Spagna alla democrazia.
Sarebbe avventato in questo momento cercare di predire il risultato del referendum sull’indipendenza catalana indetto per il 9 novembre. I sondaggi mostrano come la maggioranza dei catalani sia a favore dell’indipendenza. Quello che non è chiaro è se il referendum si terrà, e se sì, in che forma. Contrariamente all’appoggio del governo Tory al Referendum Scozzese, Madrid ha escluso qualsiasi forma di consultazione sull’indipendenza in Spagna. Senza l’approvazione del parlamento spagnolo, la Costituzione non può essere modificata per permettere che abbia luogo un referendum del genere. I parlamentari spagnoli hanno votato a schiacciante maggioranza il rifiuto alla richiesta del parlamento catalano di avere il diritto di chiedere ai suoi cittadini se vogliono uno stato indipendente. Il Tribunale Costituzionale ha dichiarato che qualsiasi referendum sulla secessione è incostituzionale.
D’altro canto il governo catalano sta preparando una nuova legge da sottoporre al parlamento regionale a settembre (Llei de consultes populars no referendàries) per mezzo della quale rivendicherà che una consultazione sul futuro della Catalogna è legale in conformità alla legge catalana, una questione sulla quale i catalani decideranno democraticamente. In un comunicato del 30 luglio 2014, il Presidente catalano Artur Mas ha dichiarato che si augurava un referendum ‘completamente legale’ (approvato quindi dal governo di Madrid) ma che sarebbe andato avanti su basi ‘legali’ (quindi sostenuto dal Parlamento catalano). Il corpo costituzionale catalano che sovraintende la legalità delle leggi del parlamento regionale ha annunciato il 22 agosto che aveva votato – con il risicato margine di 5 voti a 4 – ed accettato la proposta di legge sulla base che quella auspicata sarebbe una consultazione non vincolante sul ‘futuro della Catalogna’ piuttosto che un referendum sull’indipendenza, e di conseguenza risultava perfettamente costituzionale.
Considerando le circostanze attuali, però, una consultazione non vincolante sull’indipendenza, se avesse successo, avrebbe la forza politica e morale di un referendum – ma non lo sarebbe in termini costituzionali. Con tutte queste sottigliezze legali, c’è uno scontro di due cornici concettuali profondamente diverse su ciò che è legale e democratico. Chi dovrebbe votare sul futuro della Catalogna? Il popolo catalano o, come invece sottolinea la Costituzione, tutto il popolo spagnolo? I nazionalisti catalani affermano che ciò è questione di legittimità opposta a legalità.
Tale disaccordo è una misura della polarizzazione creatasi lungo gli ultimi anni fra i nazionalismi spagnolo e catalano. Dopo la transizione verso la democrazia e durante i molti anni di governo guidati dalla coalizione di centro destra Convergència i Unió (CiU), guidato da Jordi Pujol, si è consolidata la narrativa dello sfruttamento della Catalogna da parte dello stato spagnolo, iniziando dalla perdita dell’autonomia catalana nel 1714 fino ad arrivare ai giorni nostri. A questa lamentela si aggiunse il senso di ingiustizia dato dalla soluzione asimmetrica della nuova struttura dello stato, che premiava maggiormente i baschi rispetto ai catalani. Al contempo, l’unicità della Catalogna non venne riconosciuta, secondo i nazionalisti catalani, quando l’autonomia venne conferita anche a regioni che – con poche eccezioni – non avevano alcuna tradizione linguistica, culturale, o addirittura regionale. A tali rimostranze comparative si aggiunse anche il maggior peso sull’economia catalana dato dai contributi economici che la regione fa al resto della Spagna, dato che il suo PIL per capita è più alto.
La rinegoziazione dello Statuto dell’Autonomia della Catalogna nel 2006 che, fra le altre innovazioni, definì la regione una nazione, ha portato a una disputa pluriennale conclusasi nel 2010, quando il Tribunale Costituzionale ha dichiarato che gran parte del testo era incostituzionale. In risposta, almeno un milione e mezzo di catalani è sceso sulle strade per protestare al suono di “Siamo una nazione! Noi decidiamo!”. Spinto dalla pressione popolare, il nuovo governo catalano guidato dal CiU di Mas ha iniziato ad adottare una posizione più esplicitamente pro-indipendenza. Sotto il suo fondatore Pujol, il CiU aveva sempre seguito una politica pragmatica cercando maggiori poteri autonomi attraverso la mobilitazione del nazionalismo. Qualsiasi fossero le sue convinzioni, Mas ha scelto di cavalcare l’onda dei sentimenti popolari contro Madrid, spronato da un rifiuto ampiamente condiviso delle nuove politiche di austerity del governo socialista di Zapatero (pacchetto annunciato sotto le pressioni della BCE e del FMI). Questa convergenza di cicli di protesta economica e nazionalista ha rafforzato la narrativa nazionalista della nazione catalana oppressa da Madrid.
L’elezione di un governo conservatore a Madrid con Mariano Rajoy nel 2011, con un’agenda fortemente nazionalista spagnola e neo-liberale ha ancor più rafforzato le differenze fra i due governi. Durante le sue due legislature, 2010-2012 e dal 2012 in poi, Mas ha perseguito senza successo il tentativo di negoziazione di un patto fiscale con Madrid simile a quello del quale godono i Paesi Baschi. Eppure, dopo la massiccia manifestazione che ha portato in strada due milioni di persone in tutta la Catalogna nel 2012, in favore del diritto all’autodeterminazione, sarebbe stato difficile affermare che qualsiasi accordo con il governo spagnolo fosse una vittoria senza l’inclusione del diritto all’autodeterminazione. In ogni caso, il governo CiU del dopo 2012 dipende dal sostegno parlamentare del partito nazionalista di estrema sinistra Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) per avere la maggioranza in aula. L’ERC ha fatto capire chiaramente che ritirerà il sostegno al governo se esso non riuscisse a far tenere un referendum sull’indipendenza.
In questo processo incredibilmente complesso, il CiU deve farsi largo fra un gran numero di rischi e contraddizioni. Qualsiasi accordo con Madrid che non comprendesse l’autodeterminazione porterebbe ad elezioni anticipate in Catalogna, che il CiU probabilmente perderebbe. All’interno della sua stessa coalizione, Mac soffre una rivolta. Il CiU copre un ampio spettro di opinioni di centro-destra, dai più conservatori Cristiano-Democratici della Unió Democratica (UDC) che favorisce la terza via di un accordo fiscale con Madrid, a colleghi che non vogliono rischiare una resa dei conti finale con lo stato, a nazionalisti determinati a tenere un referendum unilaterale.
Il CiU deve anche confrontarsi con settori importanti dei suoi sostenitori tradizionali che sono in favore della continuazione di un’unione con la Spagna, ivi inclusi i datori di lavoro e le loro organizzazioni sindacali, e molti cittadini con un forte senso di doppia identità. Qualsiasi resa dei conti con lo stato implica il rischio di dividere la coalizione e Convergència potrebbe perdere la sua base più conservatrice e meno nazionalista a favore del precedente partner UDC. Un ulteriore problema è l’immagine pubblica di CiU. La sua rivendicazione che una Catalogna indipendente non sarebbe solo in migliori condizioni ma anche libera dalla corruzione con una governance CiU è stata severamente intaccata dalla recente confessione del suo fondatore, Pujol, che ha ammesso che lui e la sua famiglia sono stati per lungo tempo colpevoli di evasione fiscale, riciclaggio di denaro e corruzione. Inoltre, il governo CiU può difficilmente rivendicare di rappresentare un’agenda alternativa al neo-liberismo di Madrid, quando esso stesso ha portato avanti di sua volontà politiche di austerity.
La situazione politica è dinamica, cambia continuamente. Mentre centinaia di migliaia di catalani si mobilizzano per quella che sarà probabilmente la dimostrazione del Giorno Nazionale più importante dalla democrazia istituita nel 11 settembre, l’ambiguità sullo status della consultazione pianificata il 9 novembre permane. Madrid sembra giocare un gioco d’attesa, pronta a scagliarsi contro qualsiasi refolo di secessione.
Sebastian Balfour è Professore Emerito di Contemporary Spanish Studies alla London School of Economics.
Questo articolo è stato pubblicato in originale inglese sul blog dell’Lse EUROPP