È in corso a Roma, nella sede della Polizia dell’immigrazione e delle frontiere, l’incontro tecnico tra i rappresentanti italiani, della Commissione Ue e di Frontex per valutare le modalità con cui l’Europa potrà sostenere l’Italia per l’emergenza immigrazione. L’obbiettivo, come ha spiegato Michele Cercone, portavoce della commissaria agli Affari interni, Cecilia Malmstroem, è “identificare le modalità con cui meglio assistere l’Italia”, alle prese con l’emergenza sbarchi. Tra venerdì e sabato quasi 4mila migranti sono stati salvati dal mare, in tutto 113 mila dall’inizio dell’operazione Mare Nostrum.
Sul tavolo anche l’analisi dei costi e delle unità che servirebbero per implementare la missione Frontex nel caso fosse valutato possibile un intervento più operativo dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere. Domani Malmstroem ne parlerà in una riunione con il ministro dell’Interno Angelino Alfano a Bruxelles. Si pensa di attivare una sorta di “Frontex Plus”, anche se al momento, ha continuato Cercone, “non c’è ancora alcuna decisione presa” e le discussioni sono “aperte e in corso”.
Ieri il sottosegretario alle Politiche europee, Sandro Gozi, ha ribadito la richiesta all’Ue di un salto di qualità nella gestione delle frontiere. “L’Italia – ha detto – chiede coerenza: la frontiera mediterranea è una frontiera comune e occorrono azioni comuni a partire da un aumento dei fondi e delle capacità operative di Frontex che deve effettivamente sostituire Mare nostrum”.
Una ipotesi che però non convince l’eurodeputata del Pd, Cecile Kyenge, ex ministro dell’Integrazione nel governo guidato da Enrico Letta. “Se l’Italia si presenta a Bruxelles dicendo semplicemente ‘stop a Mare Nostrum e avanti con Frontex’, dubito che otterrà qualche risultato”, afferma Kyenge, secondo cui serve un “piano a largo raggio, con vari livelli di intervento”. “È impossibile mettere un problema di queste dimensioni solo nelle mani di Frontex”, ha spiegato all’Adnkronos. Per l’eurodeputata è chiaro però che Mare Nostrum “non basta più”, e non è “solo una questione di risorse”, ma “di leggi e procedure”. L’Europa dovrebbe “attivare le procedure per la concessione di un visto di protezione umanitaria”, e “predisporre dei presidi sul territorio dei Paesi di transito”, e questo “ridurrebbe moltissimo il rischio degli attraversamenti via mare, dei naufragi e delle morti”.