di Antonio Missiroli* per Affarinternazionali
Disegnare il telaio della sua nuova Commissione senza preoccuparsi troppo di chi mettere ai posti di guida. Il neo-eletto presidente Jean-Claude Juncker ha ancora qualche settimana per dedicarsi a questa missione.
L’incertezza stessa che persiste su chi sarà il prossimo Alto rappresentante per la politica estera (e suo vice) potrebbe incoraggiare una riflessione meno personalizzata e più orientata a trovare una soluzione funzionale efficace ai problemi che hanno afflitto l’azione esterna dell’Unione europea (Ue) dopo Lisbona – e che il presidente – eletto della Commissione ha dichiarato di voler affrontare e, sperabilmente, risolvere.
Squadre di commissari
Fra questi, l’assetto interno del collegio rappresenta un’assoluta priorità. L’esperienza della scorsa legislatura è stata piuttosto deludente in termini di coordinamento e collegialità fra i suoi membri con competenze dirette nell’ambito delle relazioni esterne.
La creazione formale di un ‘gruppo’ di commissari – presieduto da Catherine Ashton e, all’occorrenza, dallo stesso Juan Josè Barroso – non ha avuto alcun seguito significativo, e i conflitti ‘territoriali’ fra Commissione e il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) non sono certo mancati.
D’altra parte, la natura sempre più ibrida e complessa delle crisi a cui l’Ue è stata esposta in questi ultimi anni avrebbe richiesto – e continuerà a richiedere – una volontà e una capacità di azione concertata da parte di tutti, tanto all’interno del collegio che fra i vari servizi (Seae compreso).
Alcuni passi incoraggianti sono stati compiuti di recente, a livello operativo, su cybersecurity, Ucraina e sicurezza marittima – ma molto resta ancora da fare. Soprattutto, i segnali devono venire dall’alto.
Più che (ri)creare gruppi o assetti interni più o meno rigidi, e magari controversi, potrebbe ad esempio valere la pena di immaginare un modus operandi del collegio più flessibile – per ‘squadre’ di commissari coordinate da un vice-presidente (per le relazioni esterne, in linea di principio, dall’Alto rappresentante) e autorizzate a operare come vere e proprie task forces su certe crisi o dossiers complessi – come una serie di ellissi mobili e sovrapposte, piuttosto che di piramidi chiuse o silos prestabiliti.
È evidente che, accanto ai portafogli più tradizionali legati all’azione esterna (sviluppo, aiuti umanitari, in parte allargamento), appare sempre più difficile non associarvi commercio (tanto più ora che le sanzioni sono divenute uno strumento centrale della politica estera e di sicurezza comune), clima (anche in vista della Conferenza internazionale di Parigi dell’anno prossimo), o il settore legato a migrazioni, visti e asilo.
Mentre stabilire e mantenere gerarchie formali all’interno del collegio creerebbe problemi di varia natura, una struttura più agile e a tempo – con adeguate deleghe di competenze e conseguente revisione dei regolamenti finanziari – permetterebbe forse di ottenere migliori risultati con minori attriti.
Azione esterna dell’Ue
Qualcosa potrebbe essere ritoccato anche nella sfera ‘relazioni esterne’ del collegio. L’esperienza degli ultimi dieci anni ha dimostrato, ad esempio, che il mandato che associava allargamento e vicinato ha creato più problemi di quanti non ne abbia risolti.
Con 27 portafogli da assegnare ad altrettanti commissari, l’inevitabile frammentazione andrebbe forse vista, allora, come un’opportunità per favorire una certa specializzazione.
E la politica di vicinato va comunque rivisitata: l’ambizione di mantenere un approccio unico dal Marocco alla Bielorussia è stata demolita dai fatti (e non ha certo impedito la nascita dell’Unione per il Mediterraneo e il lancio del Partenariato orientale) ancor prima di doversi confrontare con la primavera araba o la crisi ucraina.
Dunque perché non ricavarne più portafogli? Accanto all’allargamento, che assumerà del resto contorni sempre più ‘interni’ e di lungo termine legati all’incorporazione dell’acquis da parte degli attuali candidati, ci sarebbe infatti spazio per due commissari – uno per il vicinato meridionale e uno per quello orientale, in senso lato – operanti entrambi sotto la supervisione dell’Alto rappresentante (e autorizzati, come Juncker stesso ha lasciato capire, a operare come suoi vice quando necessario) ma in grado anche di collaborare con le altre Direzioni generali della Commissione, in modo da focalizzare l’azione comune e darle più visibilità anche personale.
Difesa europea
Infine, la difesa – già in cima all’agenda Ue l’anno scorso e destinata a ritornarvi l’anno prossimo. Diversi dossiers legati alla politica di sicurezza e difesa comune sono attualmente trattati dalla Commissione in compartimenti separati all’interno di diverse Direzioni generali, per lo più come sotto-sezioni di altre politiche comuni, che si tratti di concorrenza e mercato interno, industria, ricerca, cyber o altro.
Se è vero che la Commissione non ha competenze dirette nel settore (salvo in materia di mercato interno), è anche vero che questa dispersione non giova né alla Commissione né alla politica di sicurezza e difesa comune.
Perché allora non concentrare sotto la responsabilità di un nuovo commissario (o, perchè no, dello stesso Alto rappresentante, che avrebbe così un ‘suo’ portafoglio all’interno del collegio) le importanti risorse e capacità esistenti, dando così più coerenza e visibilità all’azione comunitaria? Forse un piccolo passo per la Commissione ma, potenzialmente, un gigantesco balzo per l’azione esterna dell’Unione.
*Antonio Missiroli è Direttore dell’European Union Institute for Security Studies.