Dal lancio dell’operazione Protective Edge lo scorso 8 luglio nella striscia di Gaza, l’esercito israeliano ha ucciso circa 1.260 palestinesi, la stragrande maggioranza dei quali erano civili. Di questi 287 erano bambini. Solo nelle strutture dell’Unrwa i rifugiati sono 183mila, il 10% della popolazione. “Che cosa sarebbe successo se le parti fossero state invertite, se in 3 settimane fossero stati uccisi così tanti israeliani? Quale sarebbe stata la reazione del mondo?”, si chiede il dottor Mads Gilbert in una conferenza stampa a Bruxelles organizzata da PalMedEurope, associazione di medici palestinesi in Europa. Mads è un esperto medico norvegese che ha già lavorato a Gaza nei conflitti del 2006, 2009 e 2012. È appena tornato nel Vecchio Continente dopo aver lavorato dall’inizio di questa ennesima emergenza nell’ospedale di Al-Shifa, il più grande di Gaza. “È un presidio all’avanguardia, doveva essere un punto di ricerca universitario e invece dopo sette anni di assedio della Striscia di Gaza è ridotto ad essere un enorme Pronto Soccorso, in cui lavorano medici e paramedici che non ricevono lo stipendio da mesi. Sono volontari, eroi, doppiamente colpiti da questa tragedia: non è raro che tra i pazienti che arrivano, o peggio ancora tra i morti, ci siano dei loro parenti”, racconta.
L’ospedale è costretto a lavorare in una situazione di continua carenza di medicinali e attrezzature mediche perché l’esercito israeliano non lascia passare neanche quelli. “Quando il nostro responsabile degli approvvigionamenti si lamenta con le autorità israeliane loro negano che ci sia alcun problema, ma nei fatti una spedizione regolare quando riesce a passare i posti di blocco di solito viene trattenuta per almeno 4 giorni, e così spesso arriva troppo poco e troppo tardi”. L’unica cosa che non manca mai è il sangue per le trasfusioni, “quello viene donato dagli stessi palestinesi, spesso un paziente lo dona ad un altro. C’è una grande forza in questo popolo che resiste e non si arrende mai. Non ho mai visto tanto coraggio”.
Più va avanti la guerra, più la situazione diventa insostenibile: “I feriti aumentano, le capacità ricettive degli ospedali diminuiscono, e l’assedio si fa sempre più stringente”. Per rimediare a questa continua situazione di emergenza secondo il dottor Mads servirebbe un intervento più deciso delle Nazioni Unite: “Visto che non ci lasciano aprire un corridoio umanitario perché l’Onu non sorvola la Striscia con degli elicotteri e ci lancia quello di cui abbiamo bisogno?”. Ma anche l’Egitto potrebbe fare qualcosa per alleviare le sofferenze degli abitanti di Gaza, e invece dopo il colpo di Stato dei militari le autorità hanno chiuso praticamente del tutto il valico di Rafah, il punto di passaggio tra il Paese e la Striscia di Gaza. “Secondo gli ultimi accordi dovrebbe essere aperto uno, due giorni a settimana ma Il Cairo non rispetta l’accordo. E così né al confine israeliano né in quello egiziano possiamo aprire una linea di evacuazione”, denuncia il medico.
“Tutta la morte e la sofferenza che vediamo – conclude il dottore – non c’entra nulla con la difesa di Israele: circa il 90% delle vittime e dei feriti sono civili. Io posso testimoniare di aver visto tra i nostri pazienti solo 2 miliziani. Questa è una chiara violazione della legge internazionale e non è una responsabilità solo israeliana, ma anche dell’Onu, di Obama e dei governi europei che non intervengono con forza per porre fine e questo massacro. Un comportamento come quello che sta tenendo l’esercito israeliano me lo aspetto dai militanti di Boko Haram, non certo da un Paese democratico”.